Contagiare il mondo con la meraviglia dell’amore

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La tradizionale udienza natalizia del Papa ai ragazzi dell’Azione cattolica

Riprendiamo da L’OSSERVATORE  ROMANO–20 dicembre 2024

Un invito a custodire sempre lo stupore dell’amore di Dio per contagiare il mondo di meraviglia è stato rivolto da Papa Francesco stamani, venerdì 20 dicembre, a un’ottantina di ragazze e ragazzi dell’Azione cattolica (Acr), ricevuti in udienza nella Sala del Concistoro, in occasione degli auguri di Natale. Ricordando l’esempio del beato Carlo Acutis — che verrà canonizzato il 27 aprile 2025 nel contesto del Giubileo degli Adolescenti — il Pontefice ha esortato i presenti a non dimenticare i loro coetanei sofferenti, come quelli che vivono nell’Ucraina martoriata dalla guerra. Ecco il suo saluto.

 

Cari fratelli e sorelle,

carissimi ragazzi, buongiorno!

Grazie di essere venuti anche quest’anno per gli auguri di Natale! Saluto il Presidente Nazionale e l’Assistente Generale, i responsabili, gli educatori, saluto tutti voi!

Avete scelto, come guida per il cammino formativo di quest’anno, il tema “Prendere il largo”. Questo fa pensare subito ai primi discepoli di Gesù, che erano pescatori; e Gesù li ha fatti diventare “pescatori di uomini” (cfr. Lc 5, 1-11). Allora vorrei riflettere un momento con voi su queste due immagini: la pesca e lo stupore.

Primo: la pesca, essere pescatori di uomini. Cosa vuol dire? Forse “catturare” le persone, magari usando reti più moderne? Non è certo questo che vuole il Signore. Dio non vuole “catturare” nessuno, perché rispetta la nostra libertà. Invece offre a tutti il suo amore e la sua salvezza, senza pretendere nulla in cambio e senza esclusioni. Condivide con noi la sua gioia di essere il Figlio amato del Padre: «Sapete? — ci dice Gesù — io ho un Padre meraviglioso, che ama tutti, senza limiti, e voglio farlo conoscere anche a voi, perché siate felici con me!».

È così che Gesù fa il “pescatore di uomini”: contagiandoli con la gioia e la meraviglia del suo amore.

E questo ci porta al secondo punto: lo stupore, sapersi stupire.

Voi avete visto gente noiosa?   Sì?   Ce ne sono. E sapete perché? Perché questa gente non si sa stupire! Tutto così, tutto uguale, monotono: hanno perso la capacità dello stupore. Natale è un momento davvero speciale in questo senso: le strade si riempiono di luci, si scambiano i regali, la liturgia si arricchisce di canti e di suoni bellissimi… I bambini e i ragazzi dell’Azione Cattolica vengono qui e, uno due tre, cantano… Tutto è bello. Pensiamo al Presepe: quanto stupore c’è lì! I pastori, i Magi e gli altri personaggi circondano la grotta coi loro volti meravigliati, coinvolgendo come in una grande festa perfino gli animali e tutto il paesaggio. Fermatevi davanti a un presepio e guardate bene; poi andate ad un altro e guardate bene… In tutti c’è varietà, i presepi napoletani sono bellissimi! Ma in tutti non mancano mai Gesù, la Madonna e Giuseppe: quell’ Amore che Dio ci ha inviato e la Madonna e Giuseppe che lo fanno crescere.

Attenti, però, perché questo non vale solo a Natale. Tutta la nostra vita, infatti, è un dono straordinario: ciascuno di noi è unico e ogni giorno è speciale, come amava dire il Beato Carlo Acutis. Lo conoscete voi? Sapete che presto sarà santo? Bello! Lui diceva: dobbiamo essere “originali”, non “fotocopie”! E quanta gente non ha capacità di essere originale. Sono fotocopie! Oggi si fa questo perché il giornale dice che si deve fare, o per abitudine. E il Natale per tanta gente è una “fotocopia” di tante cose e non è l’incontro — tanto bello! — che ogni anno ci porta novità, novità all’anima e al cuore di ognuno di noi. Guardate il presepe, guardate la Madonna, Giuseppe e il Bambino, i Magi, i pastori, gente umile, che va a guardare Gesù.

Impariamo allora a stupirci. Per favore non perdete la capacità dello stupore. Impariamo a non dare mai nulla per scontato, soprattutto l’amore: quello di Dio e quello delle persone che incontriamo. Contagiamo tutto e tutti con la nostra meraviglia: di casa in casa, di parrocchia in parrocchia, di città in città, di nazione in nazione. Così diffondiamo felicità, fiducia e consolazione. Il Natale è una bella notizia. Non è per fare il cenone e niente di più. Si fa il cenone, è bello, la famiglia… Ma anche altre cose: si guarda il presepe, si va in chiesa. È una festività che è alla radice della nostra fede.

So che avete portato dei doni per chi ha più bisogno. Non dimenticate i bisognosi! E quando voi trovate bambini bisognosi, gente bisognosa, guardateli negli occhi e toccate la mano quando date l’elemosina, vicinissimi, con quella vicinanza che soltanto dà l’amore. E Maria e Gesù erano bisognosi. Chi di voi va a partorire dove è nato Gesù? Vanno alla clinica o alla casa… Gesù è nato lì, in una stalla. Erano poveri, erano bisognosi. Non dimenticatevi dei bambini bisognosi, cercateli! E date il vostro amore, la vostra compagnia e aiutateli. Mi piace questo, che avete portato doni da dare ai poveri. E vi incoraggio ad essere sempre vicini, nella preghiera e nella carità, a chi soffre, a tanti ragazzi come voi che stanno male per la fame, la guerra, le malattie. A proposito della guerra, vengono qui dei ragazzi dall’Ucraina: li portano per toglierli da quella guerra brutta. Sapete che i ragazzi ucraini, che hanno vissuto la guerra, hanno dimenticato il sorriso? Non sanno sorridere. Pensate a questi bambini, a questi ragazzi. Facendo così voi vi fate eco del canto degli Angeli: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama» (Lc 2, 14).

Carissimi, vi benedico, e con voi tutti i bambini e i ragazzi dell’Azione Cattolica. E voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Il Signore vi benedica!.

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La terza e ultima predica di Avvento di padre Pasolini dedicata al tema della «piccolezza»

La grandezza di Dio è l’umiltà di andare incontro all’umanità

20 dicembre 2024—L’Osservatore Romano

Il Natale del Figlio di Dio, Lui che in principio era il Verbo e che si fa piccolo e fragile come un infante che ancora non parla: la forza, anzi la grandezza della piccolezza è racchiusa tutta qui. Lo ha sottolineato il predicatore della Casa pontificia Roberto Pasolini nella sua terza e ultima meditazione d’Avvento, proposta alla Curia romana questa mattina, venerdì 20 dicembre, in Aula Paolo VI . L’argomento scelto per le tre riflessioni è “Le porte della speranza. Verso l’apertura dell’Anno Santo attraverso la profezia del Natale”.

La misura nascosta

Dopo essersi soffermato — nelle prime due prediche del 6 e del 13 dicembre — sulle porte dello stupore e della fiducia, oggi il sacerdote cappuccino ha esortato ad attraversare la soglia «della piccolezza»: chiave di accesso del Regno di Dio, essa non è un limite o una mancanza, ma è forza «umile e silenziosa» come quella del seme che, nel buio della terra, germoglia e cresce. Misura nascosta della vera grandezza di Dio, Colui che con fiducia si abbassa a livello dell’altro per accompagnarlo nella crescita, la piccolezza è «parametro» del Signore, è «il luogo in cui le Sue scelte e promesse possono realizzarsi», nonché «una scelta consapevole», guidata dal «desiderio di creare relazioni autentiche, dove si riconosce all’altro il diritto di esistere, respirare ed esprimersi liberamente». In tal senso, essere piccoli significa aprire «spazi di incontro, permettendo a ciascuno di essere sé stesso senza sovrapporsi all’altro o annullare la sua unicità».

Per approfondire questo tratto più delicato e decisivo di Dio, padre Pasolini ha offerto una rilettura attenta e nuova della parabola del giudizio finale, narrata dall’evangelista Matteo (25, 31-46): nell’accezione più consolidata, il testo afferma che, alla fine dei tempi, il Signore giudicherà l’umanità secondo il parametro dell’amore fraterno. Ma nel suo significato più profondo, ha spiegato il predicatore, la parabola dice che un giorno tutti i popoli, anche quelli non evangelizzati, potranno entrare nel Regno di Dio «attraverso la carità esercitata verso i fratelli più piccoli del Signore».

Da ciò deriva «una grande e grave responsabilità per i cristiani»: la necessità non solo di «fare del bene agli altri», ma anche di «consentire agli altri di farlo, esprimendo così il meglio della loro umanità» e facendo della piccolezza «il criterio di conformità e di fedeltà» a Dio. Il primo significato della parabola del giudizio universale, ha ribadito padre Pasolini, è dunque proprio questo: «Prima di fare del bene, è bello e necessario ricordarsi di farsi (più) piccoli».

Un atto di evangelizzazione

Dio infatti — ha aggiunto il francescano cappuccino — non desidera solo che i suoi figli sappiano amare, ma anche che sappiano lasciarsi amare dagli altri, offrendo loro «l’occasione di essere buoni e generosi». Si tratta di un modo di amare «più profondo», ha continuato padre Pasolini, in quanto lascia il posto all’altro per consentire alla sua umanità di «manifestarsi nel modo migliore». In sostanza, si ama il prossimo soprattutto quando ci si accosta a lui «con disarmante mitezza» e gli si consente di «incontrare e accogliere la nostra fragilità», mettendo in pratica «l’arte più difficile che non è amare, ma lasciarsi amare». Intesa quindi come «stile di vita» e di umanità estremamente generativo, la piccolezza diventa «atto di vera evangelizzazione», perché mette l’altro nella condizione di incarnare i gesti dell’amore fraterno.

Come esempio di tutto ciò, padre Pasolini ha citato san Francesco d’Assisi che fece della piccolezza «il criterio di sequela» del Signore e «parte della nostra identità più profonda». Ciò accadde, in particolare, nell’incontro tra il Poverello e il sultano Malik-al-Kamil: dopo quel dialogo, quest’ultimo non si convertì, ma comunque accolse Francesco e lo accudì, cogliendo l’occasione, offertagli dal santo, di esprimere il meglio di sé. «I cristiani non hanno il “monopolio” del bene», ma devono permettere anche agli altri di praticarlo.

Il predicatore si è soffermato, poi, su un altro aspetto fondamentale della parabola del giudizio universale: essa, ha affermato, invita a sospendere tutti i giudizi umani che si tendono a dare prima del tempo, ovvero prima del giudizio finale del Signore. Per questo, ha aggiunto, più che della parabola del «giudizio universale», bisognerebbe parlare della parabola «della fine di ogni giudizio», perché se smettiamo di giudicare il prossimo — cosa che non spetta a noi —, allora potremo concentrarci su ciò che conta davvero: essere sempre «più gratuiti, uscendo dalla logica “economica” per cui facciamo le cose in vista di un ritorno».

La gratitudine non si compra

Restando lontana da aspettative e dinamiche opportunistiche, l’umanità riuscirà a percorrere l’unica, vera strada: quella di «una completa gratuità», smettendo di compiere quei gesti con cui tende a comprare la gratitudine degli altri e uscendo dall’abitudine del confronto con la quale misura la propria statura. Solo in questo modo, ha evidenziato ancora padre Pasolini, sarà possibile aprirsi a «una felicità profonda e concreta», superando la paura di non valere niente e cominciando a donare sé stessi, «permettendo agli altri di fare altrettanto con noi».

Valore del bene inconsapevole

È «il bene inconsapevole», perciò, la vera chiave per entrare nel Regno di Dio, quel bene che avremo fatto senza rendercene contro, ma che gli altri sapranno riconoscere. Allora, alla fine dei tempi — ha rimarcato il predicatore — la «grande sorpresa» sarà scoprire che Dio «non aveva alcuna aspettativa su di noi, se non il grande desiderio di vederci diventare simili a Lui nell’amore». Quel giorno, non conterà «la quantità di azioni buone o cattive compiute, ma se, attraverso di esse, saremo riusciti ad accettare e a diventare noi stessi fino in fondo».

In prossimità del Natale e del Giubileo, infine, padre Pasolini ha invitato a «scegliere di incarnare la piccolezza per condividere la speranza del Vangelo» in un mondo che sembra «ostile o indifferente», ma che in realtà attende solo di incontrare «il volto misericordioso del Padre nella carne fragile, ma sempre amabile, dei suoi figli».

«Attraversare la porta santa del Giubileo con grande sincerità — ha ribadito —, senza la preoccupazione di dover esibire un profilo diverso da quello che la Chiesa ha saputo maturare lungo i secoli, potrebbe essere davvero una grande speranza».

La meditazione si è conclusa con la preghiera per l’Anno Santo, affinché la grazia del Signore trasformi gli uomini in «coltivatori operosi dei semi evangelici», nella «attesa fiduciosa dei cieli nuovi e della terra nuova».

di  ISABELLA  PIRO

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