EPIFANIA — A scuola dei cercatori di Dio… rlessioni di don Gino Faragone
Con la festa dell’Epifania si conclude (quasi) il tempo liturgico del Natale. E’ assolutamente necessario un bagno nella cultura semitica per comprendere meglio questa pagina di Matteo (Mt 2,1-12) che la liturgia di oggi ci fa ascoltare e celebrare. Non dobbiamo dimenticare che gli evangelisti hanno raccontato la vita di Gesù con la loro cultura semita, con la loro concezione di fede, attingendo abbondantemente alla secolare esperienza dei loro antenati, narrata nella letteratura biblica. Questo modo di raccontare si chiama midrash, ovvero ricerca, più precisamente ricerca di Dio. Per noi occidentali è davvero difficile entrare in questa cultura biblica. L’episodio narrato è quello dei Magi, che partiti dall’Oriente, vanno a Betlemme per adorare il bambino che è nato e propongono un modo per cercare Dio. Facciamo subito una domanda: il testo di Matteo va letto come una vicenda strana, destabilizzante, colta come leggendaria, oppure come una pagina inquietante che esige una risposta aggiornata alla ricerca che fa muovere i passi ai Magi? La vita ha senso se cerchiamo, come i Magi, di dare una risposta alla stessa domanda: “Dov’è colui che è nato?”, se cerchiamo di metterci in cammino lasciandoci guidare dalla luce della stella. Erode è già sul posto e ha paura del bambino che è nato, teme di essere spodestato. Gli uomini di potere hanno paura di perdere le poltrone e preferiscono determinare l’eliminazione di colui che rappresenta la novità, il mistero di un Dio che decide di stare con gli uomini.
Un primo passo che dobbiamo fare nel nostro cammino è quello di sacrificare quel fascino che il racconto ha suscitato nella nostra infanzia per lasciarci sorprendere dalla novità sconcertante, inquietante e inaspettata che Matteo intende comunicarci. Una storia, quella narrata da Matteo, che ha per protagonisti alcuni Magi, che rappresentano uomini e donne di ogni tempo che vanno alla ricerca di Dio. Una storia che mi appartiene, una storia faticosa, tormentata dal dubbio, non sempre illuminata dalla luce, gratificata dall’incontro con “Colui che è nato”, visto nelle periferie della città. Lasciamo pure come protagonisti questi Magi, senza interessarci del loro numero, dei nomi, della loro posizione sociale. Ma chi sono davvero i Magi? Sono studiosi che cercano di prevedere il futuro attraverso la posizione degli astri e gli eventi della natura, come il volo degli uccelli. L’elemento più rilevante è che sono dei pagani, ovvero lontani da Dio, su cui l’ebreo invoca la punizione divina: “Signore, riversa lo sdegno sulle genti che non ti riconoscono e sui regni che non invocano il tuo nome” (Sal 79,6). Ed ecco la sorpresa: i primi a riconoscere Gesù come il Signore sono i pagani, quelli che praticavano la magia, i più lontani. A Gerusalemme invece, quelli del palazzo, pur sapendo della luce nuova che viene dalla stella (Mi 5,1) sono terrorizzati dalla nascita del bambino.
Non si tratta dunque di una pagina di cronaca, ma di una storia di cammini, una storia di domande, quelle più inquietanti. Matteo, rielaborando alcuni elementi della storia passata, ci presenta questo stupendo racconto midrashico, a significare l’avverarsi delle profezie.
Senza una domanda non ci si muove. La vita ha senso se cerchiamo di dare una risposta alle domande più importanti dell’esistenza, se cerchiamo di muoverci alla luce di una stella che guida il nostro cammino. Per chi resta arroccato dentro quattro mura, soddisfatto dalla vita, unicamente preoccupato a difendere i privilegi di casta, non rimane che la paura. I Magi, che partiti dall’Oriente vanno a Betlemme per adorare il bambino che è nato rappresentano un modello di ricerca di Dio. Per Erode e gli uomini di corte, sacerdoti e scribi, lo stesso evento è solo motivo di turbamento. Le autorità politiche, religiose e culturali hanno paura della novità, sono diventati sedentari, non vogliono mettersi in cammino, non vogliono rispondere alle domande di senso, preferiscono soffocare lo spirito, anzi vogliono uccidere il Bambino. La stella non brilla sulla città del potere. Che strano mistero: i lontani partono e arrivano, mentre i vicini stanno fermi e hanno paura!
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Cominciamo la nostra analisi cercando di scrivere il testo nel nostro cuore, perché possa essere vivificato. Se leggiamo più volte il testo scopriremo oltre la trama generale una serie di nuovi dettagli, che daranno al testo sempre più luce.
Una domanda e inizio di un viaggio– «Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: “Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo”».
Dopo aver presentato Gesù nel mistero della sua persona, Matteo narra le reazioni degli uomini alla nascita del bambino. Non è difficile cogliere la duplice relazione: Gerusalemme – Betlemme ed Erode – Magi. La menzione di Betlemme come luogo dove nasce Gesù appare come di passaggio, ma assolutamente necessaria perché dà l’inizio al racconto. Con l’arrivo dei Magi a Gerusalemme inizia la narrazione. Un episodio, quello narrato da Matteo, che imbarazza non poco e che la chiesa primitiva provvede a trasformarlo in un evento quasi fiabesco, perdendo la sua portata teologica. Ma chi sono questi Magi? Non sono tre, non sono re, non hanno quei nomi che la tradizione ha loro attribuito e non rappresentano le razze umane, sono maghi, ingannatori, studiosi che cercano di prevedere il futuro attraverso la posizione degli astri e gli eventi della natura, come il volo degli uccelli. Ecco la sorpresa: per Matteo i primi a riconoscere Gesù come il Signore sono proprio i più lontani, i pagani. Si tratta davvero di una bella sorpresa! Non vengono dati i loro nomi, la loro provenienza, il loro numero. Attirati da una stella, che nelle culture antiche appare come un presagio di nascite straordinarie, e che Matteo probabilmente utilizza come richiamo alla profezia di Balaam in Num 24,17, giungono a Betlemme, la patria di Davide. Il loro viaggio è mosso da una ricerca appassionata che li farà apparire quasi ingenui davanti alla scaltrezza di Erode. Essi infatti non vedono in lui un potenziale ostacolo al loro cammino. Si ritrovano davanti al re dei Giudei, ma non a un discendente davidico. La domanda circa il luogo della nascita del “re dei Giudei” appena nato provoca un vero e proprio terremoto in Erode che si muove in una ricerca ansiosa. Ma a differenza dei Magi che hanno affrontato un lungo viaggio, Erode affida ad altri il compito dell’indagine. Nei vangeli Gesù è chiamato “re dei Giudei” solo nel racconto della passione e dai pagani: Pilato, i soldati, nell’iscrizione sulla croce. Gli Israeliti parlavano del Messia come re di Israele.
Alla corte di Erode —- «All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero:“A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”. Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: “Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo”».
Viene presentato il sanguinario Erode, un re illegittimo, uno che ha ucciso tre suoi figli, come antagonista del bambino. La reazione di Gerusalemme è un’anticipazione del rifiuto che la città avrà nei confronti di Gesù (cfr Mt 21,10). Nella teologia di Matteo, Gerusalemme è la città dell’assassinio di Gesù. E’ davvero assurdo che un bambino possa suscitare una tale reazione. Erode, da abile politico, finge di collaborare e fornisce indicazioni utili sulla domanda dei Magi, dopo aver sentito i capi dei sacerdoti e gli scribi. Al lettore non sfugge l’interesse teologico di Matteo nella menzione di questi personaggi nel racconto della passione. La citazione manifesta la genialità di Matteo che usa con grande libertà i testi sacri, combinando insieme Mic 5,1 e 2Sam 5,2. Viene così enfatizzato l’agire di Dio che sceglie la periferia, qui rappresentata da Betlemme, e non il centro, Gerusalemme. L’uomo cerca la grandezza, il potere, Dio invece la piccolezza. Gli interpreti ufficiali delle scritture non traggono nessuna conseguenza, e si rendono in qualche modo complici di Erode. E così la teologia e l’esegesi dei testi diventano sterili e staccate dalla vita. Non serve conoscere le scritture se non si sta nella stessa lunghezza d’onda di Dio. Erode incomincia ad architettare il suo piano di distruzione. Convoca i Magi “di nascosto”sperando di poterli avere come complici. Anche Giuseppe aveva cercato “di nascosto” di ripudiare Maria, ma per un motivo più nobile: evitare che Maria potesse diventare oggetto di scherno nel villaggio, esprimendo così attenzione e oculatezza nei suoi confronti. L’incontro tra Erode e i Magi è carico di tensione. La furbizia di Erode appare più chiaramente nel manifestare ai Magi il suo proposito di volere pure lui andare ad adorare il bambino.
Verso Betlemme per adorare il Bambino
«Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. «Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese».
La stella riappare, diventa guida e accompagna i Magi verso Betlemme, sul luogo dove si trova il bambino. La loro gioia è grandissima. Scrittura e stella, ovvero parola e creato, sono i modi di comunicare di Dio e diventano nel testo le coordinate teologiche utili per incontrare il Messia. La stella scompare là dove la Parola assume volto umano.
Siamo alla conclusione del cammino con l’atto di adorazione da parte dei Magi nei confronti di Gesù. Questo atteggiamento nel vangelo di Matteo è riservato a Gesù dai discepoli (14,33), o da persone che gli chiedono aiuto (8,2; 9,18; 15,25; 20,20). Dopo l’adorazione avviene l’offerta dei doni preziosi: oro, incenso e mirra, come riconoscimento della sua regalità. Già in Origene troviamo l’interpretazione allegorica: l’oro per la dignità regale, la mirra per la sua morte e l’incenso per la sua divinità. La mirra è anche il profumo della sposa verso lo sposo (cfr il Cantico dei cantici). Non dimentichiamo che Israele si considera come sposa di Dio. Questo titolo ora appartiene a tutti i popoli. Luogo dell’adorazione non è il tempio di Gerusalemme ma la casa di Giuseppe a Betlemme. Dio guida ancora il cammino dei Magi, rivelando in sogno l’ipocrisia di Erode e così i Magi fanno ritorno nella loro terra senza passare da Erode per fornirgli le informazioni richieste.
Per continuare la riflessione
Un cammino non “scontato”, con una serie di imprevisti e di ostacoli: il re che è nato non risiede a Gerusalemme, la capitale del Regno, e non appartiene alla famiglia dei regnanti. La ricerca va fatta dunque contando anche sull’apporto delle Scritture: non ci si può accontentare del proprio sapere, bisogna avere l’umiltà di interrogare la parola di Dio e da questa attingere le risposte ai nostri interrogativi.
I Magi non conoscono la Bibbia, ma si interrogano e si lasciano coinvolgere dal senso della divina Parola. Erode conosce le antiche profezie, non si accorge di nulla, è interessato solo al suo potere, non cerca nulla, non ha un Dio da cercare, è appagato dal suo “io”, non si mette in viaggio, anzi mostra paura davanti alla notizia della nascita del Bambino. Una paura che si scontra con la “grandissima gioia” che provano i Magi al vedere la stella. Gli esperti studiano la Scrittura, ma la ritengono lettera morta, i Magi invece illuminati anche dalla Parola riprendono il cammino, senza indugio.
Don Gino Faragone
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