Agrigento invoca la protezione di S. Gerlando, patrono della città e della diocesi
Agrigento festante, alleluiando—da monte a mare,—stretti in un sol cor—Te fidente proclama S. Gerlando— benigno padre, grande protettor.—Lo sguardo tuo benevolo, Gerlando su noi china.–La Chiesa Agrigentina, guida e proteggi ognor.
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Si tratta della prima strofe e del ritornello (in corsivo ed in neretto) dell’Inno a S. Gerlando, composto per le parole da Domenico De Gregorio e per la musica da Giovanni Cucchiara, personalità entrambe, a diverso titolo, benemerite, scomparse ormai da alcuni anni.
Inno che probabilmente risuonerà nella Basilica Cattedrale già nel pomeriggio di oggi, 22 febbraio, memoria liturgica della Cattedra di San Pietro, primo giorno del triduo di preparazione alla festa di S. Gerlando.
Ed oggi, primo giorno, alle ore 18,00 è programmata una Liturgia della Parola, presieduta dall’arcivescovo, mons. Alessandro Damiano, durante la quale si procederà alla benedizione della nuova Cattedra del Vescovo.
Un momento questo, della benedizione della nuova Cattedra, denso di significato teologico-pastorale, per il quale non si poteva scegliere data migliore.
Ma l’Inno risuonerà ancora nei giorni seguenti e soprattutto venerdì prossimo 25 febbraio, giorno della festa, quando, sempre nella Cattedrale, si svolgerà il solenne Pontificale, durante il quale saranno ordinati anche quattro giovani diaconi del nostro seminario, che fra meno di un anno saranno poi consacrati presbiteri.
Ma la ricorrenza di S. Gerlando quest’anno, con tutto quello che vi è collegato, non può non far pensare allo scossone subito dal tessuto sociale agrigentino (e non solo!), per quanto recentemente avvenuto. Ed il riferimento non può che essere ai gravissimi episodi che hanno segnato questo nuovo Anno pastorale, iniziato sul finire del 2021, con la prima domenica di Avvento.
Anzitutto a dicembre, proprio nei primi giorni, la strage di Ravanusa, per lo scoppio improvviso di una tubatura del metanodotto; per il quale scoppio sta indagando la Magistratura per scoprire se ci siano, per caso, eventuali responsabilità. E poi, in questi primi due mesi, gli episodi familiari, mostruosamente delittuosi, di Licata prima e Raffadali dopo. Episodi che, – come ha tempestivamente scritto l’Arcivescovo Damiano – costituiscono “…l’ennesima sconfitta di una cultura, la nostra, sempre più disorientata e sempre meno capace di gestire le emozioni e le tensioni che turbano l’esistenza personale e interpersonale”.
Due episodi, di Licata e Raffadali, da valutare assieme; ed il secondo episodio, quello di Raffadali, verificatosi appena qualche settimana dopo, risulta ancora più doloroso, (perché un padre ha ucciso il figlio). E S.E. mons. Alessandro Damiano, facendosi ancora interprete del gravissimo sbigottimento collettivo, ha precisato che la nuova ferita è “…un ulteriore segnale di fragilità, …. una nuova ferita che ….non può …. lasciarci indifferenti di fronte al male che serpeggia nei nostri contesti, a partire da quelli più sacri”.
Ne abbiamo proprio bisogno di invocare la protezione del nostro santo patrono S. Gerlando !
Il Quale, vescovo di questa nostra arcidiocesi dal 1088 al 1100, allora doppia come territorio di quella attuale, è rifondatore della Chiesa Agrigentina, che di rifondazione aveva proprio bisogno, dopo quasi tre secoli di dominazione musulmana.
Per i gravissimi fatti che si sono verificati, si richiede davvero – come dice l’Arcivescovo – una forte ripresa di impegno, culturale e spirituale, con un sussulto forte di responsabilità, da parte della “società civile e comunità cristiane, istituzioni e agenzie educative, famiglie e singoli individui”, una particolarissima e — “maggiore attenzione alle nuove povertà di questo tempo”, da parte dell’intera Comunità agrigentina.
Sicuramente non si ratta di mali che ci sono piombati improvvisamente addosso, perché i sintomi da tempo erano venuti alla luce, ed erano stati in buona parte anche coraggiosamente denunciati, sia sul piano familiare e sociale-privato che su quello pubblico-politico. Se per esempio, in una memorabile omelia a conclusione del Venerdì Santo del 2015, il Pastore Agrigentino del tempo, Card. don Franco Montenegro, davanti ad una marea di gente, presenti anche le massime Autorità comunali e provinciali, in piazza Municipio ad Agrigento, parlava di perverse logiche non solo antievangeliche, di “crisi che non è solo economica, ma soprattutto umana ed umanitaria….di “primato del guadagno e corsa all’accumulo che scalza quello del lavoro”…..di “una politica immobilista sui problemi di vecchia data, capace invece di correre veloce solo quando deve occuparsi di interessi di parte”. E poi…..…“qui, come non ci si preoccupa di salvare le apparenze, così non fa problema percorrere le vie della disonestà: penso alla carica delle 104”.
Una carica queste delle 104 a cui faceva riferimento il Pastore della diocesi, che – come ben sappiamo – ha messo in luce ed appurato la Magistratura, funzionava con un ben ramificato ed orchestrato sistema di corrotti e corruttori.
Non solo ! in quell’occasione don Franco, esaminando la situazione generale dell’agrigentino, si poneva pubblicamente qualche interrogativo. E così, con un filo di sottile ironia, si chiedeva : “Come mai mentre molte imprese e attività commerciali sono costrette a chiudere, c’è invece una corsa disperata verso la costituzione di imprese sociali e l’apertura di case-famiglia, meglio se per minori non accompagnati ? Ciò non dà l’idea di una corsa allo sfruttamento dei poveri?”.
Nell’attuale situazione, adesso l’augurio unanime è che S. Gerlando, da tutti sinceramente pregato ed invocato, susciti doverosamente in molti, la capacità di voltare davvero pagina, con un impegno nuovo, coraggioso e salutare, a vantaggio dell’intera collettività agrigentina. Una Chiesa questa che in passato ha avuto tanti figli illustri, sul piano politico-civile, come su quello socio-ecclesiale.
Per fare solo qualche esempio, ci limitiamo solo a ricordare don Michele Martorana, apostolo dei giovani, don Michele Sclafani, che nel suo tempo, impegnato anche nel sociale, ha energicamente contrastato l’usura, l’abuso di potere ed il malaffare, e proprio recentemente il canicattinese, giudice beato Rosario Angelo Livatino, “martire della giustizia ed indirettamente della fede”.
Diego Acquisto
22-2-2022