Su don Michele Sclafani, prete agrigentino in sintonia col popolarismo di don Sturzo
SCLAFANI, Michele (1875-1954, Agrigento).
Nacque da agiata famiglia borghese molto influente nell’ambiente locale. Il nonno era stato primo sindaco della città di Girgenti (oggi Agrigento) nel 1860. Il padre, già massone, fu tra i primi organizzatori del Movimento Cattolico agrigentino. Fu alunno del collegio Capranica in Roma e studiò all’Università Gregoriana. Non ancora sacerdote, iniziò la sua attività nelle file del Movimento Cattolico diocesano, di cui fu presto riconosciuto capo. Dotato di grandi capacità organizzative, creò una capillare rete di casse rurali ed affittanze collettive nei Comuni dell’intera diocesi, che costituì la base di un poderoso movimento economico-sociale e politico.
Fino all’avvento del fascismo, fu l’arbitro della situazione politica dell’Agrigentino. Nel 1901 entrò nel consiglio comunale della città natale e vi restò fino al 1924. Dal 1917 al 1920 fu pro-sindaco.
In campo regionale allineò il Movimento Cattolico agrigentino alle posizioni di Sturzo, Torregrossa e Mangano. Un’Unione agricola siciliana, da lui fondata, si diffuse in tutta l’isola e si rese particolarmente benemerita per l’introduzione dell’uso dei concimi chimici nelle campagne. Nelle elezioni del 1919 portò alla Camera l’agrigentino E. Fronda, al quale però nelle successive elezioni del 1921 subentrò il giovane S. Aldisio di Terranova, candidato nello stesso collegio elettorale per la stessa lista del PPI. L’ampliamento della circoscrizione elettorale, in forza del nuovo sistema, non premiava l’influenza che il sacerdote agrigentino si era conquistata nell’antico collegio uninominale.
Nell’estate del 1923, assieme a Fronda e in collegamento con l’on. E. Vassallo, deputato della stessa circoscrizione espulso dal PPI, promosse la costituzione di un partito siciliano in appoggio al governo di Mussolini. L’iniziativa ebbe scarsi sviluppi. Nelle elezioni del 1924 appoggiò i candidati del listone governativo. Pensava di salvare la sua rete di opere sociali, di cui continuò a tenere la direzione. Il fallimento di molte di tali opere lo travolse finanziariamente e gli costò la perdita dello stesso patrimonio familiare. Da allora limitò la sua attività al campo strettamente religioso del ministero sacerdotale.
FONTI E BIBLIOGRAFIA Le annate de «Il cittadino cattolico», periodico del Movimento Cattolico agrigentino, riportano ampie notizie sulla sua attività politica e sociale. Sono consultabili presso la biblioteca del seminario agrigentino.
Per un suo breve profilo cfr. D. DE GREGORIO, Profili di sacerdoti agrigentini, De Bono Ed., Firenze 1962, 11-25. Si vedano pure gli accenni di G. DE ROSA, Introduzione a L. STURZO, «La Croce di Costantino». Primi scritti politici e pagine inedite sull’azione cattolica e sulle autonomie comunali, Storia e Letteratura, Roma 1958. Per il tentativo di costituzione di un partito siciliano cfr. G. DE ROSA, Il PPI, Laterza, Bari 1969, 253. Riferimenti alla sua attività di organizzatore contadino in E. GUCCIONE, Le affittanze collettive nel pensiero politico ed economico dei cattolici tra Otto e Novecento, Ila-Palma, Palermo 1978. Altri riferimenti ancora in G.C. MARINO, Partiti e lotta di classe in Sicilia da Orlando a Mussolini, De Donato, Bari 1976, 298-299 e F. RENDA, Socialisti e cattolici in Sicilia 1900-1904, S. Sciascia, Caltanissetta-Roma 1972.
Cataldo Naro
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Nella satira un sindaco di Favara
ed un Monsignore
di
Diego Acquisto
20/11/2014 Storie di ieri e situazione di oggi dei cattolici italiani
“Comu purpu a la padedda è friutu Giuanninu,
di ddu cocu mariolu ca si chiama Michilinu.
E nun temi d’abbrusciari, // pirchì l’ogliu nunpò mancari”.
Diego Acquisto
“Giuanninu” è l’on. Giovanni Miccichè, sindaco di Favara, eletto deputato al Parlamento, mentre il “Michilinu”, o meglio don Michilinu, così chiamato affettuosamente dal popolo agrigentino è don Michele Sclafani, presentato come “cocu mariolu”.
I liberali dopo avere fatto di tutto per impedire l’elezione di Miccichè, non essendoci riusciti, fecero di tutto per screditarlo, mettendo in giro la barzelletta “Iddu lu sapi”, così come avrebbe risposto l’on. Miccichè ad un giornalista che gli chiedeva del suo programma politico. “Iddu lu sapi”, una barzelletta che, costruita ad Agrigento fece il giro di tutta l’Italia. Una barzelletta che mirava a screditare sia l’on. Giovanni Miccichè, sia Mons. Michele Sclafani, amico e confidente di don Luigi Sturzo, stimato sacerdote agrigentino, che è ”Iddu” di cui si parla. Quasi che Miccichè fosse il pupo e Don Michele il puparo. Cosa che appariva ed appare chiaramente esagerata e che dalla stampa dell’epoca veniva fatta passare come vera.
Con i versi sopra riferiti, del “polipo in padella” sempre con l’intento di screditare, la satira umoristica era molto usata dai liberali al potere, oltre, naturalmente, ad altre forme di persecuzione. Ma niente riuscì a fermare l’opera di don Michele Sclafani, che, ( – formatosi negli anni successivi alla pubblicazione della Rerum Novarum (1891) e durante l’episcopato del vescovo Blandini (1885-1898), seguito nell’opera sociale, poi dal suo diretto successore, il vescovo Lagumina (1899-1931),) – sul finire dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento, maturò la ferma decisione che il Vangelo andava coniugato con un forte impegno nel sociale.
Siamo ancora lontani dal Concordato tra la Chiesa e lo Stato che sarebbe stato firmato nel 1929… e l’anticlericalismo, in quel periodo, sia tra i liberali che tra i socialisti era molto accentuato.
Un periodo comunque particolarmente felice per i cattolici che seppero mettere in atto tanto fervore di opere , con l’Opera dei Congressi e la costituzione delle Casse Rurali ed artigiane, per aiutare le classi sociali più deboli. Don Michelino, sempre in stretto contatto con don Luigi Sturzo, non solo per la sua parola affascinante, ma soprattutto per la sua grande umanità e per la forza persuasiva dei fatti di solidarietà a favore delle classi più povere che riusciva a realizzare, divenne gradualmente protagonista decisivo della scena socio-politica agrigentina. E siamo nel primo ventennio del secolo scorso, prima e dopo la “grande guerra” e prima dell’avvento del fascismo al potere.
Una cosa questa del protagonismo benefico di don Sclafani che disturbava notevolmente i politici liberali e socialisti del tempo, perché, tutti si vedevano sottrarre consensi elettorali nei collegi uninominali, ancora prima del Patto Gentiloni , che, siglato successivamente, segnò l’ingresso ufficiale dei cattolici nella vita politica italiana. Patto ufficiale che fu un accordo alla luce del sole nel 1913, stipulato tra i liberali di Giovanni Giolitti e l’Unione Elettorale Cattolica Italiana (U.E.C.I.), presieduta da Vincenzo Ottorino Gentiloni, da cui prese il nome.
Mons. Sclafani o don Michelino come veniva comunemente chiamato, si inserì attivamente nella vita politica, sino a diventare anche Pro-sindaco di Agrigento, dopo essere stato più volte consigliere comunale ed assessore alla pubblica istruzione. I fatti concreti di Mons. Sclafani riguardavano il suo impegno a favore delle classi più povere, la fondazione di Casse Rurali e cooperative, in diversi Comuni della nostra provincia, per combattere l’usura, in un periodo carico di miseria e di problemi, con una classe politica liberale di nome ma illiberale di fatto, che, per contrastare l’avversario politico si serviva, senza scrupolo alcuno, di tutti i mezzi, compreso l’uso spregiudicato del potere, l’intervento strumentale della Giustizia e la stessa cultura satirico-vignettistica.
La satira che abbiamo sopra riportato, era stata diffusa all’indomani delle elezioni che avevano portato al Parlamento nazionale Giovanni Micciché al posto del figlio di Nicolò Gallo, Gregorio. Perché quest’ultimo aveva tradito gli impegni assunti nei riguardi dei cattolici agrigentini che lo avevano votato, eleggendolo al Parlamento subito dopo la morte nel 1907 del padre Nicolò, già Ministro di grazia e giustizia dell’allora Regno d’Italia, che benché liberale, era in ottimi rapporti con Mons. Sclafani, che ne aveva fatto anche l’elogio funebre.
Il figlio Gregorio invece, dopo avere preso i voti dei cattolici come il padre, in Parlamento aveva tenuto un comportamento contrario, e per questo Mons. Sclafani lo aveva abbandonato preferendogli Giovanni Miccichè, sindaco di Favara, che venne eletto. Questo ci fa capire quale influenza sul popolo avesse Mons. Sclafani, don Michelino.
Questa allora era la situazione. Questo era il clima di allora. Abbiamo sempre bisogno di ricordare qualche pagina di nostra storia….Don Michelino, amico e confidente di don Luigi Sturzo, fondatore del Partito Popolare, è stato “l’uomo nuovo che nell’agrigentino ha anticipato i tempi. L’uomo che per servire il popolo e venire incontro alla povera gente, amava il rischio, la lotta. Pioniere infaticabile, artefice e costruttore, ad Agrigento, città e provincia, di quel vasto movimento cattolico che poi doveva riportare i più lusinghieri successi nel campo politico, quando, dopo la triste esperienza del ventennio fascista, sarebbe ripresa la vita democratica ed i cattolici si sarebbero riorganizzati. Allora, subito dopo la seconda guerra mondiale, sotto le precise direttive della Chiesa, per evitare che l’Italia entrasse nell’orbita sovietica, con le conseguenze che abbiamo visto trovarsi nei paesi dell’Est.
Oggi, sul piano del rapporto fede e politica, con la caduta (o abbattimento) del Muro di Berlino nel 1989, è venuta meno la necessità del Partito unico dei cattolici, la cui unità si è spostata solo sui valori o meglio – come si preferisce dire oggi con Papa Francesco – principi, non negoziabili. Ciò ha anche portato e porta davvero alla fine di ogni collateralismo.
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