Storico viaggio di Papa Francesco in Iraq, nella terra di Abramo

Un viaggio davvero eccezionale e storico in Iraq, “nella terra di Abramo” che nessun Papa sino ad ora aveva avuto modo di fare, quello che Papa Francesco  inizia domani in Iraq; il trentatreesimo  viaggio fuori Roma di questo suo  straordinario pontificato, che ha avuto inizio il 13 marzo 2013.

E non c’era modo migliore per Papa Francesco di concludere provvidenzialmente  questi otto anni di straordinario servizio petrino,  di questo viaggio in Iraq, a Ur dei Caldei, dove Dio  più di 4000 anni fa scelse un “arameo errante”, cioè  Abramo, per un progetto apparentemente incomprensibile, invitandolo  da Ur dove abitava a mettersi in viaggio verso una terra ignota. Abramo ebbe fede, ubbidì  a Dio e quello  fu l’inizio della storia della salvezza, come riferisce il libro della Genesi.

Abramo che sperò contro ogni speranza fa pensare non pochi a questo straordinario Papa Francesco, che superando difficoltà e contrasti anche all’interno della  stessa Chiesa, porta avanti il suo progetto di fraternità universale, stavolta  in un Paese musulmano a maggioranza sciita come l’Iraq, che ha vissuto molteplici terribili sanguinosi  conflitti negli ultimi  decenni, sino alle ultime, incredibili devastazioni da parte dello Stato islamico dell’Isis, la cui scomparsa definitiva  è finalmente avvenuta nel dicembre 2017, come ha allora annunciato il primo  ministro iracheno.

E dopo l’incontro di Abu Dhabi dell’anno scorso con Al-Azhar,  grande imam  dei musulmani sunniti, quest’incontro in  Iraq con l’ayatollah sciita Ali al-Sistani (nell’elenco dei 100 più importanti intellettuali del pianeta nel 2005),  appare davvero fondamentale perché fa chiaramente capire che  Papa Francesco con l’intera famiglia dell’islam è riuscito ad  avere  dialogo o comunque interlocuzione, in nome di quella  comune fraternità che  prescinde da tutto, a cui tanto tiene, perché voluta dall’unico Dio.

Intanto  per questa prima volta nella terra di Abramo, ad Ur,  nella terra dei  profeti Ezchiele e Giona, in questa terra dei due fiumi con capitale Bagdad, città  a sud della quale a meno di 80 km sorgeva l’antica Babilonia – (dove i  Giudei di Gerusalemme e del Regno di Giuda al tempo di Nabucodonosor II furono deportati a partire dal 597 e vissero  in cattività  sino al 538) –  e comunque per tutto il viaggio di tre giorni in Iraq, il logo preparato per la visita del Papa  rappresenta oltre al Tigri e l’Eufrate,   una palma ed una colomba, con a fianco il motto “Siete tutti fratelli” in cui è palpabile il riferimento non solo alla parola di Gesù, ma anche al titolo dell’ultima enciclica.

Papa Francesco anche nel mondo musulmano è popolare, non solo per il suo modo semplice di porsi, di parlare e comportarsi, ma anche perché tutto richiama al poverello d’Assisi, che pure nel suo tempo, poco più di  800 ani  fa, si recò in quella zona per  incontrare il Sultano del tempo.

Il viaggio del Papa dal 5 all’8 marzo si inserisce nella sua ottica geo-politica, squisitamente evangelica,  di fraternità universale di apertura verso il futuro da testimoniare in una terra tanto provata adesso anche dalla pandemia-coronavirus, dove, malgrado tutto e le ultime assurde devastazioni e stragi dell’Isis, esistono ancora alcune decine di  migliaia di cristiani, lontani eredi di quelle comunità che risalgono all’età apostolica.

Doveroso ricordare che dopo la dichiarazione “Nostra Ætate” del Concilio Vaticano II (1962-65), l’Islam ha rapporti regolari con la Chiesa cattolica.

Un dialogo che continua, perché importante, anche se  è difficile qualificarlo “teologico” perché oltre tutto ci si limita ad  informare il partner sulle proprie credenze;  porre magari  domande su cui ognuna delle due parti ha possibilità di riflettere.

Una linea questa del dialogo che condivide anche il Papa emerito Benedetto, che proprio nei giorni scorsi, tenendo a ribadire di avere fatto otto anni fa la scelta giusta davanti a Dio, ha pure detto che nella Chiesa il Papa è sempre uno solo.

Un’affermazione chiara ed  univoca nell’interpretazione, cioè Papa Francesco.  Solo diaboliche intelligenze possono ipotizzare  e proporre interpretazioni diverse, come purtroppo ci tocca di leggere, e per giunta con l’arrogante convinzione delle scientificità giuridica. C”è davvero da riconoscere che il maligno, da cui bisogna più che mai guardarsi,  sa fare davvero egregiamente il suo compito, sfidando il “non praevalebunt” di Gesù.

La nostra preghiera allora per questo viaggio di Papa Francesco: un viaggio storico, che pur con tutti i rischi che comporta anche per la stessa sicurezza fisica,  è indubbiamente di grande valenza non solo teologico-ecclesiale, ma anche socio-politica per un futuro nuovo e diverso dell’umanità,  all’insegna della ricerca sincera della pace e della  fraternità universale, interrogando tutti sul diritto fondamentale alla libertà religiosa.

Diego Acquisto

04-03-2021

 

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