Mentre gira qualche interpretazione distorta …e questa sì “blasfema”…..
Qualche considerazione sull’omelia del card. Montenegro per la festa di S. Calogero.
Un’omelia evangelicamente dirompente, con passaggi decisamente forti per scuotere sullo scottante tema delle migrazioni la cultura italiana anzitutto, ma anche, e forse più precisamente, quella europea. Un’omelia in sintonia con il magistero di Papa Francesco ed i Pontefici precedenti.
Un messaggio comunque forte e commisurato all’attuale situazione italiana e soprattutto europea.
Perché il nostro pastore cardinale don Franco, oltre ad essere presidente di Caritas Italiana, riceve da Papa Francesco spesso, proprio su questa problematica incarichi speciali, … a livello più vasto.
Tra le frasi più forti ed incisive dell’omelia , il richiamo che “poveri e migranti sono un termometro per la nostra fede. Non accoglierli, soprattutto chiudendo loro il cuore, è non credere in Dio.”… “Credere nel Dio della vita significa rifiutare ogni complicità con la cultura della morte… come un’economia che sacrifica i più deboli, il benessere che scarta chi è considerato un peso sociale, i consumi che avvelenano tutto: mari, aria, cibi, e soprattutto il cuore dell’uomo”,… “essere credenti significa impegnarsi per una società e città più giusta, scegliere la trasparenza, la legalità, l’onestà, l’attenzione per i poveri e gli immigrati, offrire rispetto e amicizia a chi è disprezzato ed emarginato”… E’ Gesù a venire da noi su un barcone, è lui nell’uomo o nel bambino che muore annegato, è Gesù che rovista nei cassonetti per trovare un po’ di cibo. Sì, è lo stesso Gesù che è presente nell’Eucaristia”.
E sarebbe proprio soprattutto quest’ultima la frase blasfema. Una frase indubbiamente forte, ma anche a rigor di logica questa valutazione – proprio Vangelo alla mano – non regge proprio, perché proprio Gesù ha detto che tutto quello che viene fatto al più piccolo, lo ritiene fatto a se stesso. E nell’Eucarestia è proprio Lui che è presente…..come ci dice il catechismo…. “vivo, presente, reale in corpo sangue, anima e divinità”. Affermare il contrario, oltre che “contra fidem” è davvero blasfemo !
Ma ritorniamo all’omelia, con un linguaggio veramente duro e salutarmente dirompente, che come altre omelie, in momenti particolarmente significativi, ha lasciato il segno e che i mass media stanno diffondendo a vasto raggio, perché la cultura cristiana non solo agrigentina, ma anche italiana e soprattutto europea abbia a riflettere, spingendo ciascuno nel proprio specifico settore, si impegni ad agire con determinazione e con senso di responsabilità, alla luce del Vangelo e del Magistero della Chiesa.
La quale Chiesa sul tema-migrazioni da un quarantennio a questa parte ha stimolato sempre più alla riflessione. E chiaramente lo ha fatto e continua a farlo con quel grande e sano realismo che è tipicamente cristiano; un realismo che, ci sembra, scorrere in un filo rosso dal Concilio a Papa Francesco,… e da questi al cardinale Montenegro.
Il pensiero della Chiesa – per dirla in breve ed in parole umanamente povere – non è né “buonista“, né cinico ma radicalmente evangelico. Perciò con quella forza salutarmente rivoluzionaria per la promozione integrale dell’uomo e della comunità in cui egli è inserito, che solo il messaggio evangelico possiede. E tutto ciò – naturalmente – lasciando alla politica ed ai politici a cui compete, la responsabilità delle scelte concrete; così come la Chiesa ha sempre insegnato ed insegna, essere la vocaziopne specifica dei laici organizzare al meglio la città terrena.
E facciamo brevemente sintesi della riflessione della Chiesa, partendo del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), che nella Costituzione pastorale “Gaudium et spes”, ha ricordato che “la Chiesa cammina insieme con l’umanità tutta, per cui le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo”.
E dopo il Concilio tutti i Pontefici, possiamo dire che hanno messo al centro il comandamento di Dio al Popolo di Israele: “Amate lo straniero, perché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto”.
A partire da Paolo VI che conclude l’’Enciclica “Populorum progressio” con la profetica affermazione che “lo sviluppo è il nuovo nome della pace” e che la pace non può ridursi alla sola assenza di guerra. In ciò seguendo il criterio del Vangelo, legato alla realtà… e di una realtà che contempla Cristo con il suo comandamento d’amore, che non è mai ideologico.
A Giovanni Paolo II che ha stimolato ad un “arricchente dialogo interculturale ed interreligioso che suppone un clima permeato da mutua fiducia”, ricordando comunque che “un’applicazione indiscriminata (dell’immigrazione) arrecherebbe danno e pregiudizio al bene comune delle comunità che accolgono il migrante”.
O a Benedetto XVI che nel 2006 ammoniva che , anche se i cattolici devono accogliere i migranti, devono anche lasciare alle
“autorità responsabili della vita pubblica di stabilire in merito le leggi ritenute opportune per una sana convivenza”.
Benedetto XVI che in più occasioni invita a prestare una speciale attenzione alla particolare identità, religiosa e culturale, di quelli che professano la religione islamica.
Papa Benedetto che proprio nell’ultimo periodo del suo pontificato, prima delle sue coraggiose dimissioni, cioè nel 2013 ribadiva che:
“ogni Stato ha il diritto di regolare i flussi migratori e di attuare politiche dettate dalle esigenze generali del bene comune, ma sempre assicurando il rispetto della dignità di ogni persona umana”.
E per concludere… bisogna sapere cogliere bene il messaggio del nostro Pastore don Franco, sicuramente in sintonia con Papa Francesco che già nel maggio 2016 in una intervista, ebbe a dire:
“Non siamo in grado di aprire le porte in modo irrazionale. La domanda fondamentale da porsi è perché ci sono così tanti migranti oggi e il problema sono le guerre… in particolare i trafficanti di armi”.
E nel novembre successivo sempre durante una conferenza stampa, Papa Francesco ha detto:
“in teoria non si può chiudere il cuore a un rifugiato, ma ci vuole anche la prudenza dei governanti: …. fare il calcolo di come poterli sistemare, perché un rifugiato non lo si deve solo ricevere, ma lo si deve integrare. E se un Paese ha una capacità di venti…., faccia fino a questo. Un altro di più, faccia di più. Ma sempre il cuore aperto: non è umano chiudere le porte, non è umano chiudere il cuore, e alla lunga questo si paga. Qui, si paga politicamente; come anche si può pagare politicamente una imprudenza nei calcoli, nel ricevere più di quelli che si possono integrare”.
Un pensiero quest’ultimo ripetuto nella sostanza proprio recentemente, qualche settimana fa, di ritorno dall’incontro ecumenico di Ginevra, in cui ha parlato della necessità di tenere presenti i criteri di sempre:
“Accogliere, accompagnare, sistemare, integrare”. Ogni governo perciò “deve agire con la virtù della prudenza”.
Diego Acquisto