Se sulla sfida delle migrazioni anche Macron ascoltasse Papa Francesco….
E che sia davvero la grande sfida finalmente con chiarezza sul tappetto, lo ha chiaramente riconosciuto la cancelliera Angela Merkel, che testualmente ha detto “La migrazione è una sfida europea, forse la nostra più grande sfida al momento, perché riguarda la coesione dell’Europa”.
Un pensiero questo della Merkel che fa sintesi della gravità del problema e che sembra fare eco al pensiero di Papa Francesco. Che di ritorno a Roma da Ginevra per l’incontro ecumenico, a bordo dell’aereo, rispondendo ieri pomeriggio ai giornalisti, ha pronunciato parole che forse pochi si aspettavano. Parole opportune in questo momento in cui l’Europa finalmente deve decidere, non in maniera evasiva e vaga come in passato, ma precisa e condivisa.
Ed il problema dei migranti, tra l’altro, in queste ore ritorna prepotentemente alla ribalta, con il nuovo caso della Lifeline, tanto simile a quello dell’Aquarius dei giorni scorsi.
Un problema quindi da affrontare, senza sterili nervosismi, né tanto meno ingiustificate ed inopportune asprezze verbali, ma con pacata riflessione, mobilitando testa e cuore, nella linea culturale dei perenni valori del Vangelo, così come ha fatto Papa Francesco, sull’aereo proprio ieri.
Ecco le parole papali che fanno chiarezza su tante opinioni diverse pur rispettabili. “Un Paese deve accogliere tanti quanti può integrare, educare, dare lavoro”.
Insomma i criteri sono quelli di sempre: “Accogliere, accompagnare, sistemare, integrare”. Ogni governo perciò “deve agire con la virtù della prudenza”.
In particolare poi Papa Francesco ha sottolineato che molto hanno fatto Italia e Grecia, ma anche altri Stati, come Libano, Giordania, e Spagna. Ha quindi ammonito che il problema che resta è quello del “traffico dei migranti” e delle carceri libiche dove si mutilano e torturano persone e poi magari si buttano nelle fosse comuni. Per questo Francesco chiede una sorta di piano Marshall per l’Africa: “per investire in quei Paesi” e dare in loco lavoro e istruzione, per i bambini africani sono molto intelligenti. L’Africa non può e non deve essere “sfruttata, occorre investire”.
Parole chiare e direttive che ci sembrano davvero lungimiranti ed in consonanza con i valori evangelici del rispetto della dignità delle persone, a qualunque razza o etnia appartengano.
Non servono le asprezze verbali, assolutamente da evitare; concentrarsi invece sui problemi, con spirito nuovo e solidarietà tra i vari Stati europei, alcuni dei quali sino ad ora sono rimasti solo a guardare e magari a parlare in maniera inopportuna, facendo sorgere il sospetto della strumentalità per continuare ad evadere da decisioni impegnative e concrete.
Ed il riferimento è al recentissimo scambio di battute al vetriolo tra il presidente francese Macron ed i due vice presidenti del Consiglio italiani, Di Maio e Salvini.
Macron , con chiaro riferimento all’Italia, ha parlato di “ lebbra populista” che si sta diffondendo in Europa. Gli ha risposto per le rime prima Di Maio che ha detto che “la vera ipocrisia è di chi respinge gli immigrati a Ventimiglia e fa la morale sul diritto sacrosanto di chiedere un’equa ripartizione dei migranti”. E poi ha rincarato la dose Salvini che ha aggiunto: che se c’è un morbo che si è diffuso in Europa “non è la lebbra del populismo ma la vomitevole ipocrisia di Macron”.
Parole, come si vede, durissime che vogliamo sperare non guastino il clima di responsabile serietà e serenità con il quale nel prossimo incontro bisogna trovare la giusta soluzione al gravissimo problema dei migranti. Problema sul quale l’Europa gioca la sua coesione – come dice la Merkel – e la sua stessa sua esistenza. La solidarietà è un dovere di tutti e chi l’ha trascurata negli anni deve essere richiamato.
Il Vangelo ci dice che la correzione fraterna non è un optional, ma un dovere. A livello di persone come di Stati. E la Francia non ci sembra proprio che abbia fatto tutto il suo dovere. E comunque a margine di tutto ci sentiamo di dire che tra “buonismo” e “cattivismo”, sicuramente da evitare è il secondo, anche se il primo non può e non deve significare di lasciare correre sempre e comunque, perché le punizioni servono – lo sappiamo – per correggere e rimettere sulla giusta strada.
L’auspicio allora è che soprattutto in Italia, dopo anni di accoglienza indiscriminata, senza se e senza ma, bisogna ricordarsi che la legalità è il primo passo di una politica intelligente della mobilità umana.
Certamente non spetta alla Chiesa decidere a quali condizioni si deve entrare, o si deve uscire. Come diceva qualche tempo fa, il segretario CEI mons. Galantino “questo è un compito della politica che ha tutto il diritto-dovere di farlo”.
E da più parti, in ambienti anche di cultura diversa si invoca che finalmente in Italia si possa ricostruire una condizione che consenta di andare e venire con civile e “regolata regolarità”, “senza trincerarsi o rintanarsi o scappare…”.
Diego Acquisto