70 anni dopo quel 18 aprile 1948

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8 Aprile 1948 –Cosa dice oggi quella data per la nostra vita democratica e repubblicana.
Oggi si compiono 70 anni dall’elezione del primo Parlamento repubblicano in Italia. Nel 1948 il 18 aprile era una domenica e gli italiani, dopo il ventennio fascista, con i criteri appena fissati dalla nuova Carta Costituzionale che aveva sostituito lo Statuto Albertino dell’epoca monarchica, furono chiamati alle urne per eleggere i propri rappresentanti nel Parlamento repubblicano, bicamerale, di Camera e Senato. Si tennero cioè le prime elezioni politiche dopo la nascita della Repubblica, le prime a cui ebbero diritto di partecipare per la prima volta anche le donne.

Aspra e combattuta la campagna elettorale. Si scontravano le due principali culture, quella cattolica e quella social-comunista, in una lotta senza quartiere per conquistare il consenso. Coinvolti i Partiti di massa che pure per approvare la Carta Costituzionale avevano raggiunto un larghissimo accordo. Cioè la Democrazia Cristiana ed il Fronte Popolare, formato dal Partito comunista e da quello socialista; due fronti appassionatamente contrapposti che avevano radici profonde ed incidevano molto nel tessuto sociale.

I due grossi schieramenti politici, Democrazia Cristiana e Fronte Popolare, contrapposti ed avversari sul piano ideologico, si rivelavano tuttavia chiaramente responsabili e reciprocamente complementari nell’assicurare e garantire un equilibrio al nuovo sistema politico che doveva iniziare, dopo l’esperienza fascista. Insomma come si suole opportunamente sintetizzare, due “modelli contro”, ma accumunati dall’antifascismo e dalla volontà e passione di dare un nuovo volto e taglio alla democrazia. La Democrazia Cristiana aveva il suo leader nella nobile figura del trentino Alcide De Gasperi, mentre il Fronte Popolare, (comunisti e socialisti) era rispettivamente guidato dal piemontese Palmiro Togliatti e dal romagnolo Pietro Nenni, due figure anche queste di grande caratura, politica ed umana .

Le Sinistre, a cui bisogna dare atto di avere positivamente ed attivamente operato nella guerra di Liberazione, erano pressoché sicure di vincere la competizione elettorale. Ma i risultati che uscirono dal segreto dell’urna, costituirono per loro un’amara sorpresa. La Democrazia Cristiana ottenne la maggioranza assoluta, vinse ampiamente con oltre 12 milioni di voti, superando largamente il Fronte. Che restava nettamente in minoranza anche se si fosse aggiunto quel gruppo di socialisti di Ivan Matteo Lombardo, che aveva rotto con il Fronte in polemica con i Comunisti, ottenendo però 2 milioni di consensi.

Il resto si conosce bene. Quel 18 aprile segnò per decenni la vita politica e sociale italiana, con la prevalenza della Democrazia Cristiana sino al 1994; con la costante tendenza della DC, anche quando aveva la maggioranza assoluta, a coinvolgere nel Governo sempre le altre forze politiche ed il suo modo di governare che – a parte i giudizi contrastanti – segnò un aumento pressoché costante della classe media e quindi nel complesso una più equilibrata distribuzione della ricchezza prodotta; proprio in netto contrasto con quello che hanno registrato anche le ultime statistiche che, specie nel Meridione impietosamente evidenziano soprattutto nell’ultimo quinquennio un pauroso allargamento della povertà ed una incredibile crescita delle diseguaglianze, con la quasi totale scomparsa della classe media.

Tutto un quadro preoccupante che pone adesso seri interrogativi su come sia cambiato il clima ed il rapporto fra politica e società, fra governanti e governati, e anche fra comunicazione e opinione pubblica.

Gli anniversari possono essere utili e determinanti non solo per tenere vivo il ricordo di un evento assai importante, ma anche perché dal passato si possono cogliere nuovi e possibili spunti di riflessione per affrontare e risolvere positivamente i problemi del presente. Il primo dei quali nell’attuale pasticcio successivo al 4 marzo u.s. è sapere costruire in Parlamento quella base numerica stabile per il futuro esecutivo che non è uscita dalle urne.

Quella del “premierato”, visto che si è consentito di mettere sulla scheda il nome del premier, non credo che possa essere una scelta del tutto democraticamente ignorata, visto che a scegliere sono stati i cittadini. E in democrazia è una cosa ben diversa un premier scelto da 10 e più milioni di cittadini, ed invece un altro scelto da 5 milioni e/o addirittura da nessuno. Personalmente credo che sarebbe stato meglio impedire a tutti di mettere sulla scheda l’indicazione del premier, come del resto avveniva col proporzionale durante la cosiddetta prima Repubblica.

Oggi, la data del 18 aprile dovrebbe dire a tutti, che dovendo mettere al primo posto il bene comune la figura del candidato presidente del Consiglio vada individuata di comune accordo tra Presidente della Repubblica e forze rappresentate in Parlamento. Ognuna delle quali deve farsi però carico della necessità di formare su punti condivisi una maggioranza di Governo. Con una nuova cultura politica libera da pregiudizi, risentimenti, rancori, puntigli, dogmi ideologici e quant’altro, per recuperare quello che non è stato fatto e passare decisamente al dunque, cioè alle cose da fare. E senza chiacchiere e pretesti inutili, puntare ad abolire privilegi e sperperi, recuperando errori e lentezze del passato remoto, recente e recentissimo, al fine di liberare in ogni modo – (compreso quello di rimodulare stipendi, vitalizi e pensioni d’oro) – tutte le risorse possibili ed avviare la riduzione delle sofferenze e diseguaglianze sociali.

Potrà sembrare un’utopia, ma è l’unica cosa sensata da fare e che è possibile fare.

Diego Acquisto

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