RICORDARE GIOVA…A margine della traslazione della salma del beato Rosario Livatino
Il beato Rosario Livatino torna fra la sua gente, la salma è stata trasferita nella Chiesa di Santa Chiara, …grande chiesa parrocchiale di recente costruzione, fornita di ampi locali per eventuali incontri e riunioni ……. nei pressi dell’Ospedale,…. in un nuovo quartiere con tanti palazzi, dove si sono trasferiti migliaia di abitanti del centro storico di Canicatti ………
Il feretro dopo aver lasciato il cimitero ha sostato anche davanti alla sua casa natale fra gli applausi di migliaia di canicattinesi.—-Dopo un breve momento di preghiera, la salma del beato Rosario Angelo Livatino è stata estratta dalla cappella di famiglia dove riposava da oltre 34 anni. La bara che contiene il corpo del giudice è stata inserita in una cassa zincata e ricoperta con un drappo rosso. Intorno alle ore 16, è stata caricata su un furgone e, scortata dalla polizia ha lasciato il cimitero comunale di Canicattì per raggiungere il corso Umberto I dove, dinanzi al sagrato della chiesa di San Diego si è svolto un secondo momento di preghiera. Ad accompagnare il corteo, un lungo cordone di canicattinesi che hanno applaudito al passaggio del feretro che poco dopo, ha sostato davanti alla sua casa natale dove oggi ha sede un museo dedicato alla sua memoria.
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Riprendiamo dal Notiziario di TELEPACE servizio di don Diego Acquisto– di -lunedì 21.09.1998 OTTAVO ANNIVERSARIO DELL’ASSASSINIO DEL GIUDICE ROSARIO LIVATINO
“La cultura mafiosa è peggiore del nazismo” – “Nella cultura mafiosa, più che l’uomo emerge la bestia”. “Fuori dalla Chiesa chi compie queste gesta”.
Sono alcuni brani della vibrante omelia del Vescovo Mons. Ferraro, ai funerali del giudice Rosario Livatino, assassinato dalla mafia otto anni fa. Nella stessa omelia, Mons. Ferraro, rivolto ai politici diceva ancora . “Non c’è spazio per i compromessi e per i ritardi”, mentre L’Osservatore Romano, sulla stessa lunghezza d’onda, scriveva : “Non c’è più spazio per le illusioni : lo Stato, quasi braccato dalla malavita deve reagire con interventi radicali e coraggiosi, anche repressivi”. Se quelle parole del Vescovo e del giornale vaticano, fossero state subito ascoltate, si sarebbero forse potute evitare le stragi di Capaci e di Via d’Amelio.
In effetti l’assassinio, il 21 settembre del 1990, allora giorno di venerdì, del giudice Rosario Livatino, uomo integro e cristiano sincero, ha segnato lo spartiacque tra una certa strategia seguita dalla mafia sino ad allora e la strategia stragista contro giudici che già aveva avuto, come vittima il giudice Saetta col figlio Stefano, e avrebbe avuto ancora come vittime, i giudici Falcone e Borsellino con gli uomini della loro scorta.
Ricordiamo che il giudice Falcone, fu tra i primi ad arrivare da Palermo ad Agrigento, sul luogo dell’assassinio di Livatino e ai funerali parteciparono le massime autorità dello Stato, dall’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, al vice presidente del Consiglio Martelli, al ministro di Grazia e Giustizia Vassalli, allo stesso Bettino Craxi, al presidente della regione Nicolosi.
Mons. Ferraro , oltre ad implorare la conversione ed invocare la forza di Dio per tutti i familiari, denunciando l’allarmante escalation di delitti, sempre nell’omelia di Livatino, diceva: “Diventa spontanea la domanda se il Parlamento e il governo abbiano fatto tutto il loro dovere. Finora non sembra e non lo è”.
Il giudice Rosario Livatino è morto martire della giustizia, non si è piegato alla prepotenza mafiosa, animato da una profonda spiritualità che egli alimentava, in modo sistematico, con la preghiera personale e l’assidua partecipazione alla celebrazione eucaristica. Il suo sacrificio è servito a scuotere la classe politica e la stessa magistratura, dietro la spinta di un’opinione pubblica più attenta ed esigente, anche per le continue sollecitazioni della Chiesa.
Non solo, il sacrificio ha messo in luce la statura spirituale e morale del “piccolo giudice”, come è stato chiamato Livatino, in rapporto alla sua giovane età ed ha offerto validi motivi di speranza. La nostra terra agrigentina, afflitta da tanti mali, ma capace anche di formare personalità come quella di Rosario Livatino – o come quella del giudice Saetta, del quale pure in settimana sarà ricordato il decimo anniversario del barbaro assassinio, entrambi di Canicattì, – ha motivo sufficiente di sperare in un totale riscatto, già iniziato col il sacrificio di questi suoi illustri figli.
Rosario, un esempio di vita per tutti i giovani, articolo di Don Antonio Bartolotta, di felice memoria pubblicato sul Giornale di Sicilia del 20.9.1998…..
Si legge nell’Apocalisse (2,17) un versetto profetico : “al vittorioso darò un nome nuovo”…..Rosario Livatino, giovane Magistrato, ha già un nome nuovo per una moltitudine di persone; una moltitudine che cresce giorno dopo giorno, da quel lontano 21 settembre 1990, giorno nel quale una mano assassina stroncò la sua giovane esistenza. A tanti anni dalla morte egli continua ad essere messaggero di giustizia e carità. Mai nel suo cuore aveva separato questi sentimenti che sono raggi di uno stesso fuoco. Le persone grandi hanno la loro aurora, ma non hanno tramonto e si nota per Rosario Livatino, la cui fama e immagine ha varcato la nostra isola e viene presentata come modello ai giovani di oggi.
Per cogliere il significato della totalità della persona, occorre riallacciarla al senso dell’esistenza. Esistere indica la vocazione della natura umana ad uscire fuori da sé per entrare in comunione con la realtà, per partecipare a tutto ciò che è a sua disposizione. Pertanto dalla consapevolezza del proprio essere persona come valore che già si vive e che va portato a compimento, Rosario Livatino ha raggiunto il possesso di quei valori irrinunciabili per una armonica esperienza di vita. Entro questa ottica, ha integrato la sua persona nella sua realtà concreta, nel progetto “in fieri” e “in esse” di magistrato. Questa integrazione presuppone una maturazione personale, che Rosario ha estrinsecato nella capacità di decisione, nell’assunzione di responsabilità, nell’attitudine a gestire le varie e molteplici situazioni quotidiane facendole confluire verso una accresciuta saggezza di vita e una progressiva stabilità personale. Da qui scaturisce, nella formazione di Rosario, laico cristiano, l’esigenza di una educazione alla personalità sociale. Il che vuol dire, anzitutto, che ha saputo rapportarsi con la storia e l’impegno concreto nella realtà civile.
La presenza coerente di Rosario, magistrato, presente e impegnato per una società meno violenta e più giusta, assicura dentro alla “polis” (città) degli uomini la presenza di una luce, di una verità, di una vita nella quale i rapporti sociali nascono e si costruiscono sul riconoscimento della dignità dell’uomo.
Dotato di una ferrea intelligenza e di una libertà matura, Rosario è responsabile della sua crescita, così come della sua salvezza. Aiutato , o talvolta impedito, da coloro che lo circondavano, Rosario è rimasto, qualunque siano state le influenze che si esercitavano su di lui, l’artefice della sua riuscita di cristiano e di Magistrato coerente ai principi etici e deontologici. A Dio, per mezzo di Gesù Cristo, a cui faceva spesso riferimento – basta pensare alla sigla sparsa in tutte le agende personali S. T. D. sotto la tutela di Dio, o alle visite frequenti a Gesù Sacramentato, prima di accedere in Tribunale, nella Chiesa di S. Giuseppe. Rosario ha acquisito una dimensione nuova, accede ad un umanesimo integrale che gli conferisce la sua più grande pienezza nella visione di vivere la sua realtà di uomo in senso verticale e orizzontale : l’amore a Dio e l’amore all’uomo.
Questo è il cammino umano e religioso che Rosario ha perseguito nella sua breve esistenza, realizzando un progetto di vita, il progetto dei valori. Alla luce di questa dimensione si è impegnato nelle molteplici situazioni della sua esistenza.
In forza di questo progetto di vita ha dato un senso al suo impegno di Magistrato e di Magistrato cristiano, sapendo scegliere cosa fare della propria vita, scoprendo che la prima risorsa umana è proprio l’uomo per cui ogni potenzialità va sviluppata per una personalità il più possibile completa, sapendo investire tutte le energie personali in una visione antropologica completa. Ecco quanto afferma Rosario nella conferenza tenuta al Rotary di Canicattì il 7 aprile 1984 che poteva essere il vero profilo del magistrato : “Il Magistrato offra di se stesso l’immagine non di persona austera o severa e compresa del suo ruolo e della sua autorità o di irraggiungibile rigore morale, ma di una persona seria, equilibrata, responsabile, comprensiva ed umana capace di condannare, ma anche di capire”.
Se ci chiediamo il perché della sua assurda morte possiamo rispondere che è stato travolto dalla tenebrosa bufera dell’odio, lui che non ha voluto vivere che per la giustizia. Lo additiamo ai giovani di oggi per un domani migliore. E’ la nostra speranza. Vorrei concludere così, al di là se si aprirà presto un processo di beatificazione o no, di competenza della Chiesa, dopo aver vagliato la sua vita. Rosario aveva negli occhi la bellezza dell’anima e la vivacità dell’ingegno; nella parola la fede calda e palpitante del cuore; tutto ciò misto ad un sorriso permanente di bontà e di fraternità ed un gesto di umile energia. Perché additiamo Rosario ai giovani ? Stiamo assistendo atterriti al crescere di una generazione di giovani che amiamo follemente, ma che però deludono le nostre attese e ci creano l’incubo di un disastro per la vita. Rosario Livatino ci dà una risposta con la sua vita semplice ma ricca, impegnata sino in fondo, protesa verso il futuro.
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“Non facciamo di Livatino un eroe perché così in qualche modo lo eliminiamo dal nostro orizzonte ordinario di vita. Egli è stato uno che ha compiuto nella quotidianità il suo dovere, giorno dopo giorno. Per creare una cultura alternativa a quella mafiosa, dobbiamo fare tutti, ciascuno nel suo ambito, il proprio dovere”. (Sostituto Procuratore Laura Vaccaro)