Verso un nuovo ordine mondiale

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Dopo la caduta  nel 1989 del Muro di Berlino, per vent’anni il mondo è stato retto dal cosiddetto “ordine liberale globale” o internazionale……

E se è vero, che il liberalismo e l’egemonia degli Stati Uniti, hanno contribuito a plasmare  il mondo mi cui viviamo,   dobbiamo riconoscere che il mondo futuro  si avvia  verso un nuovo ordine, forse  meno liberale e,   sicuramente, meno americano….

Un mondo, che, – sino a pochi tanni fa,  si sperava potesse unificarsi pacificamente attraverso la crescita economica e gli scambi commerciali. Un ordine, – si pensava – dove tutti ci avrebbero guadagnato; un ordine, che si doveva reggere   ed intanto si reggeva sul presupposto che l’Occidente – uscito vincitore dalla guerra fredda – ne doveva essere la guida ed il   garante.

Ricordiamo che per guerra fredda  si intende  il periodo successivo alla seconda guerra mondiale,  sino alla caduta del Muro di Berlino nel 1989….

È stato nel corso di questi decenni, soprattutto dopo il 1989 che, per la prima volta, alcuni elementi costitutivi della modernità occidentale, cioè l’economia di mercato, la scienza, la tecnologia… sono stati esportati, tentando di creare un mondo interconnesso.

Comunque, per  la verità, con chiarezza,  dobbiamo riconoscere che l’omologazione-assimilazione dei modelli politici e culturali, che si pensava facile esportare,   si è invece rivelata più difficile del previsto. E per giunta, da qualche anno, questo processo si è arrestato.

In particolare, con ed a causa anzitutto   dell’attacco  impensato  ed impensabile di Putin.

Si, di   Vladimir PUTIN, il dettatore  russo, con l’aggressione dell’ Ucraina,….

Con questa aggressione è cominciata una fase nuova, ….una fase rovinosa, dove le tensioni politiche sono tornate centrali. Col rischio che ad affermarsi sia una visione ugualmente semplicistica, ma diametralmente opposta, cioè con  lo scontro di civiltà… Si, con lo scontro di civiltà

Questa è la chiave con cui  bisogna leggere ed stato letto l’incontro tenutosi nelle settimane scorse  a Kazan, capitale della Repubblica russa del TATARTASRAN M;  l’incontro  dei cosiddetti Brics … 

B r i c s   una sigla che include tanti paesi…cioè….( Brasile, Cina, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, India, Iran, Russia e Sudafrica…)…. Paesi che rappresentano il 45% della popolazione mondiale, con  un Pil (Prodotto interno lordo)  complessivo  di questi paesi,  di 60mila miliardi di dollari e di circa un quarto delle esportazioni di tutto il mondo.

Al summit, cioè a questo summit, hanno partecipato i rappresentanti diplomatici di 24 Nazioni.

In effetti, l’obiettivo dichiarato del padrone di casa, cioè  Putin è stato quello di mettere in discussione l’ordine internazionale formatosi dopo la Guerra fredda.

E molti commentatori sono convinti che lo scontro tra blocchi sia ormai un destino segnato e che lo sarà di più nei prossimi anni,  senza esclusione di colpi.

Un’ipotesi questa che non si può certo escludere… tenuto conto che, al punto a cui siamo arrivati, la posta in gioco riguarda il dominio di un mondo che la tecnica e l’economia hanno integrato in maniera irreversibile, senza possibilità di  un ritorno indietro.

Più che interrogarsi sulle intenzioni altrui, la domanda che i Paesi occidentali – e specificatamente l’Europa – devono porsi è però – a nostro parere – un’altra, cioè quella d possiamo così formulare :

“Come stare dentro un processo destinato a creare un mondo diverso da quello che conosciamo?   Con quale meta finale?

Non possiamo essere ingenui, né tanto meno restare a guardare, apparendo deboli di fronte alla prepotenza.

Come accade in Ucraina, è giusto non solo  doverosamente resistere,   ma anche respingere le aggressioni.    Anche se, d’altra parte, dobbiamo pur riconoscere che l’Occidente non può presentarsi come paladino del diritto e della pace, se poi non è in grado di fermare la reazione esagerata e  fuori  misura di Israele.

Se poi l’obiettivo è quello di evitare di avvitarsi nella spirale dello scontro di civiltà, l’Occidente deve elaborare una nuova idea di universalismo.  Deve, cioè, dotarsi di un pensiero all’altezza della inedita sfida storica che il mondo sta cominciando ad affrontare.

Se le questioni geopolitiche della post-globalizzazione vengono affrontate con il codice della potenza (cioè di chi è il più forte),  lo  scontro di civiltà è inevitabile.

Ma proprio i limiti, la limitatezza e l’interdipendenza del globo ci suggeriscono che questa strada è assurda. Assurda…anche perché semplicemente impraticabile.

Se non si vuole che il XXI secolo sia ricordato come il secolo della guerra civile planetaria, cioè una sorta di concretizzazione della lotta di tutti contro tutti, quasi quella guerra di tutti contro tutti,  ipotizzata e temuta da Tommaso Hobbes (1588-1679) che parlava di “Bellum omnium contra omnes” cioè di guerra di tutti contro tutti– la strada da battere è quella di creare le condizioni per una convivenza tra diversi…..

Sì, una convivenza tra diversi,  dove, cioè, sia possibile riconoscere e rispettare le diversità, nel comune vincolo della comune  appartenenza terrestre.

È la ragione, alla quale noi facciamo riferimento è proprio il fondamento della nostra cultura, che ci indica questa come unica via di futuro possibile, anche se non facile, pena l’imbarbarimento del pianeta intero.

Ci sarà chi potrà dire: “Ma se gli altri non vogliono?”

Può essere che sia così. Ma anche nelle “relazioni” internazionali – come in tutte le forme di interazione umana – a fare la differenza è il modo in cui si interagisce.

Il problema non è rispondere in maniera automatica a chi usa la violenza, alimentando così la spirale della guerra, ma lavorare alacremente per aprire una strada diversa. Ciò significa, prima di tutto, stemperare il congelamento delle divisioni.

Le civiltà mondiali sono molteplici. E non hanno confini ben precisi. Il mondo occidentale, per esempio, si distingue tra quello americano e quello europeo.

In Asia, la Cina ha tradizione e interessi diversi dall’India. Il mondo islamico è disperso e frammentato. In più ci sono tante aree che sono indefinibili e che rischiano solo di diventare il campo di battaglia del conflitto delle grandi potenze.

Per evitare lo scontro di civiltà occorre contrastare le eccessive semplificazioni…i riduzionismi che tracciano confini rigidi. E lavorare invece sulla diversità e sulla pluralità. Che sono poi la verità del mondo.

In secondo luogo, diventa cruciale la capacità di affrontare in modo creativo le due crisi che rischiano di spingerci verso lo scontro di civiltà – quella Ucraina, quella mediorientale – con una attenzione particolare a Taiwan, che rischia di essere la prossima ferita di un mondo in ebollizione.

Se non si vuole che parlino le armi, è necessario che parli la politica.

Ma la politica richiede pensiero, visione, anima. Che è forse ciò di cui avvertiamo di più la mancanza.

Diego Acquisto

16-11-2024     

 

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