Torna di moda…“Tocca ferro”: un pamphlet di piacevole lettura, di Vincenzo Patti

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Un  pamphlet che mi piace chiamare così anche se  non di carattere politico, – almeno nel senso tradizionale e corrente del termine –  ma sicuramente di una notevole valenza sul piano del costume vissuto in una “polis”, che nel caso concreto è Favara; costruito sulla logica di una satira semplice, piacevole ed originale, non infrequentemente venata di ironia ; un pamphlet che tocca tutti i temi del comportamento sociale e che poteva nascere, come di fatto è nato, solo in una terra pirandelliana.

Favara che assieme a Porto Empedocle – le due città che da parti opposte fiancheggiano immediatamente Agrigento –  proprio nei giorni scorsi, mentre leggevo il pamphlet del Patti, erano sulla cronaca per episodi di tombe e d’ironia, tra il tragico ed il grottesco.

A Favara – riferiscono le cronache di qualche giorno fa -un anziano ma vigoroso ex muratore voleva rendere ancora più accogliente la tomba che avrebbe dovuto ospitare un giorno il più possibile lontano le sue spoglie mortali. Ma “mentre faceva l’acrobata fra le tavole di un ponteggio, è precipitato, anticipando comunque il giorno del suo trasloco”;  il rinvenimento della salma all’interno della Cappella di famiglia, pare che sia avvenuto con qualche giorno di ritardo. Poco più in là, a Porto Empedocle, “due famiglie sono state costrette a «gareggiare» per conquistare l’unico loculo disponibile al cimitero che potesse ospitare il rispettivo «caro estinto». Ha vinto chi è morto per primo, come dire che anche nella morte come nella vita, conta primeggiare.”

Due storie così «inverosimili» che hanno il privilegio di essere assolutamente vere, a dimostrazione che la realtà spesso, soprattutto in terra agrigentina,  supera davvero la fantasia.

In questo contesto si inserisce il pamphlet “TOCCA  FERRO” di Vincenzo Patti,  professionista serio ed  apprezzato, affermato maestro nelle diverse tecniche pittoriche e grafiche, ma non nuovo neanche a qualche  fatica  letteraria dall’originale e modesto titolo “Senza senso”, un accattivante libretto questo, che,  è bastato ad attirare  l’attenzione su di lui, per il gusto e la semplicità con cui descrive e rievoca  con una certa nostalgia,  usi, costumi, tradizioni di un passato che non tornerà  più nei luoghi in cui è vissuto.

In “Tocca ferro”, così come nei suoi quadri, che rappresentano gli  angoli ed i luoghi più caratteristici del centro storico della sua Favara, viene descritto dal Patti, in un immaginario avventuroso viaggio nell’oltretomba, da lui compiuto come morto-vivo, sempre l’ambiente umano e sociale della sua città, con le sue norme  di vita, le sue consuetudini, i suoi pettegolezzi, i suoi detti sapienziali espressi nel caratteristico dialetto favarese, il suo scetticismo ironico, che non arretra di fronte alla maestosità della morte, definita “percorso obbligato che libera la vita e l’uomo dal male”. Non solo. Poi “ti fa santo, perché cancella i difetti ed esalta le virtù”.

La concezione popolare che esalta a dismisura i piaceri della vita terrena, con la conseguente valutazione che “il paradiso due volte non si può avere” e che quindi nell’altra vita la gioia e la felicità dovrebbero essere esclusivamente riservati a quelli che hanno accettato i sacrifici e le sofferenze della vita. Ma un dubbio balena nella mente. “Se le cose non fossero realmente così, perché qualcuno ha trovato anche in cielo il sistema per manomettere….” allora ci sarebbe  “il rischio di essere ancora una volta fregato e …”. Lo spunto di riflessione su questa mentalità popolare – che le osservazioni del Patti provocano –  sarebbe quello di valutare se davvero quelli che ricercano in ogni modo ed a qualunque costo i godimenti, trovino davvero il paradiso sulla terra.

Comunque, per lui, morto-vivo, di fronte a tante cose storte, “la tortura più grave è essere nella piena facoltà mentale e non potere intervenire. Quindi, ancora una volta, subire.”

Particolarmente riuscita sembra la descrizione di quello che avviene immediatamente dopo la sua morte, con i giudizi, le valutazioni e le chiacchiere dei familiari, parenti ed amici. E qui la satira del costume di ieri e di oggi, in queste circostanze, ci sembra particolarmente salutare e vivace. E poi il viaggio del Patti morto-vivo che, durante il suo funerale, si distacca dal corpo e sorvola il paese, con carta bianca per entrare dove vuole e scrutare quello che ad un semplice vivo non è consentito. La sorpresa non è piacevole, perché vengono fuori “malvagità, ipocrisia, disprezzo, invidia, odio”. Insomma “era meglio restare sul letto da morto, senza andare da nessuna parte”.

L’attaccamento al proprio corpo, continua anche dopo la morte e l’anima fa fatica ad allontanarsi da “quella vecchia carcassa, anche se ormai deformata e puzzolente”, ma verso cui sente un profondo senso di gratitudine, essendo stato accompagnato dal corpo “nel bene e nel male per l’intera vita”.

Un’affermazione questa, che, se per un verso esprime semplicemente una mentalità diffusa, per un altro verso richiama alla verità cristiana che parla di risurrezione della carne, quando anche il corpo sarà glorificato; ma, per intanto bisogna contentarsi dell’omelia del giovane Parroco, “bravo ad affidare l’anima nelle mani del Signore”. Tutte considerazioni venate da ironia, tra il fantastico ed il reale, di uno che non riesce a comprendere bene se è un morto vivo o un vivo morto, che, tra l’altro, deve constatare che l’allestimento del funerale è stato un ulteriore dolore per la famiglia, costretta ad addossarsi le notevoli spese, che forse hanno pesato più della stessa morte. “Un funerale non di lusso, né tanto scarso né esagerato, di media portata, ha un costo non indifferente, che peserà tantissimo sul bilancio familiare. E se con l’euro è rincarata la vita, figuratevi la morte!”.

Sarebbe lungo riportare proverbi ed affermazioni della tipica parlata favarese, che anche da morto-vivo, nella descrizione dell’immaginario viaggio, il Patti riferisce: si tratta della saggezza in pillole, racchiusa in detti, espressi nella forma genuina popolare e quindi con qualche tocco di particolare “crudezza”, ma che a rifletterci bene, nella sostanza, forse  non raramente sono veri e propri “tozza di Vangelu”, per usare l’espressione di un altro illustre favarese recentemente scomparso.

La fine dell’immaginario viaggio, segnata da un certo nervosismo, avviene per Vincenzo Patti,  grazie al “piacere di sentire le lamentele della moglie e delle figlie”. E’  la prova più sicura di essere davvero ritornato sulla Terra, con tanta voglia di vivere, affrontando i concreti problemi quotidiani dell’esistenza ed iniziando magari con una spaghettata in padella, perché la pasta al sugo nel frattempo “era tutta fredda ed “ammataffata”. Una tipica e colorita espressione siculo-favarese quest’ultima, che solo in qualche modo viene tradotta in “tutta di un pezzo”.

In questo lavoro letterario del  Patti, così come nella sua precedente  produzione pittorica, se l’ispirazione trae spunto da Favara, – la Favara dimenticata, come ebbe egli a titolare una mostra nel 1982-  non si ferma tuttavia a Favara, offre spunti di riflessione per altri temi ben più impegnativi, che stimolano alla ricerca e all’approfondimento, in un fecondo esercizio della ragione che quasi naturalmente anela a confrontarsi con la fede.

Sac.Diego Acquisto

Favara 07.05.2004

 

 

 

 

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