Don Faragone – VANGELO (Mc 9,38-48)-XXVI DOMENICA del Tempo Ordinario 29-9-2024

0
don Gino Faragone
La paura dell’emarginazione chiude la bocca a tanti
 Non è difficile riscontrare nelle nostre assemblee tensioni, disaccordi, spaccature. La soluzione non va cercata nel silenzio, ma nel coraggio di esprimere le proprie idee, sapendo che potremmo essere emarginati. La paura di perdere consensi, di affrontare i potenti di turno che chiudono la bocca agli ultimi, non aiuta ad acquisire una coscienza critica e a costruire un mondo più giusto. Val la pena rischiare di perdere qualche privilegio per costruire un mondo più giusto.  Un adulto nella fede non è tale se si limita a recitare un “credo”, lo è se trova il coraggio di presentare il suo “credo” con un linguaggio più comprensibile e di celebrarlo con una liturgia dignitosa. Un adulto nella fede sa da che parte sta Dio, sa che può trovarlo in mezzo a un popolo di schiavi, sa che è schierato a favore di coloro che poteri politici e religiosi hanno emarginato. Un adulto nella fede è colui che ha scoperto che il suo Dio è amore, espande amore e si spoglia della sua onnipotenza per mendicare amore. Non conta un distintivo di appartenenza, una divisa, ma un comportamento onesto. Non abbiamo alcun titolo per cercare di monopolizzare Dio, imprigionarlo nei nostri schemi e nelle nostre strutture.
 La prima lettura della liturgia di oggi (Num 11,25-29) presenta la richiesta del giovane Giosuè a Mosè, perché impedisca a Eldad e Medad di profetizzare nell’accampamento, perché non presenti nella tenda del convegno. Mosè, per niente preoccupato dall’accaduto, risponde: “Fossero tutti profeti nel popolo del Signore”. Essere profeti significa comprendere la storia, il rapporto tra gli avvenimenti, collocarsi con il proprio ruolo nella società.
 La reazione di Mosè anticipa quella di Gesù, tollerante e largo di vedute, che non prevede la Chiesa come un gruppo chiuso. Gesù può operare anche con chi non lo ha seguito e non ha accolto la sua parola. E’ l’insegnamento che ci viene dal testo del vangelo odierno (Mc 9,38-48).
    La tentazione di monopolizzare lo Spirito
 «Giovanni disse a Gesù: “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva”. Ma Gesù disse: “Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi”».
 Gesù è in cammino verso Gerusalemme e per la strada continua a insegnare ai suoi discepoli le condizioni per riconoscersi veri discepoli. Essi discutono su “chi tra loro sia più grande” e non capiscono i ripetuti annunci di passione, morte e risurrezione di Gesù. Ed è proprio Giovanni, uno dei primi discepoli, ad evidenziare le prospettive diverse tra Gesù e i discepoli. Costui vede un tale che scaccia demoni nel nome di Gesù e glielo impedisce, perché non appartiene al gruppo dei discepoli. Osserviamo l’espressione: “non ci seguiva”. Ma Gesù non chiama a seguire un gruppo, ma la sua persona.
La motivazione di Giovanni pertanto appare del tutto errata. Possiamo individuare piuttosto una forma di zelo, gelosia o pretesa di avere in esclusiva l’esercizio di gesti di liberazione nel nome di Gesù.
La reazione di Giovanni  manifesta una comunità con l’esclusiva di potere agire nel nome di Gesù. Ed è questa pretesa che accentua divisioni, tensioni, opposizioni. Giovanni è seriamente preoccupato per quel tale che compie degli esorcismi nel nome di Gesù, cioè con la sua autorità. Lo strano esorcista utilizza il nome di Gesù come uno strumento magico e con risultati positivi. Il fatto è abbastanza curioso, specie se teniamo conto dell’insuccesso dei discepoli di scacciare un demonio, riportato prima (9,14-29). I discepoli pensano di poter avere un rapporto quasi esclusivo con Gesù e quell’uomo dunque, un intruso, indebitamente utilizza il suo nome. Giovanni non ha digerito il fallimento registrato nella stessa attività e di contro vede l’esito positivo di questo intruso. L’invidia gli rode dentro alla vista di un’opera buona compiuta da un estraneo. La risposta di Gesù è spiazzante e manifesta buon senso e grande apertura d’animo. Egli non rimprovera Giovanni e usa un argomento di buon senso: non gli può essere nemico chi agisce nel suo nome. Non c’è motivo dunque di nutrire invidia per il bene che possono fare gli altri. Lo Spirito soffia in campi più ampi di quelli occupati dai discepoli. Vi è una comunità misteriosa che va oltre i confini di quella visibile, una comunità che pone al centro non se stessa ma unicamente Cristo. E’ assolutamente urgente che ci convinciamo che altri, diversi da noi, possano compiere del bene. Non dobbiamo meravigliarci se altri sperimentino degli esiti positivi dove noi abbiamo conosciuto clamorosi insuccessi.
Gesù deve tornare ad essere al centro delle nostre chiese, libero di agire con chi vuole. Il bene esiste anche al di là delle nostre strutture religiose. Se troviamo il coraggio di guardare oltre il nostro sguardo, scopriremo con sorpresa tanti cristiani anonimi, che si comportano con lealtà. Sono quelli che seminano amore, curano le piaghe di tanti sofferenti, custodiscono e rispettano il creato.
 I cristiani anonimi e l’attenzione ai piccoli 
 «Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa. Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue».
 Anche un semplice gesto di bontà otterrà una grande ricompensa. Dopo la narrazione dell’esorcista estraneo al gruppo dei discepoli, segue una raccolta di detti incentrata sul tema dello scandalo e delle sue conseguenze. Questo insegnamento va compreso all’interno di una comunità divisa, in cui i piccoli, cioè i cristiani più deboli nella fede possono essere indotti a comportamenti non in linea con il vangelo. I piccoli vanno sostenuti, difesi, illuminati, guidati nel loro cammino di fede. Per sottolineare la gravità dello scandalo, si usa in questa circostanza un linguaggio metaforico e paradossale: chi procura uno scandalo deve rifugiarsi in una morte violenta senza la possibilità di una sepoltura o in una mutilazione di una parte del proprio corpo. E’ chiaro che non s’intende raccomandare una inefficace e dannosa mutilazione per evitare il male. Detto in modo più semplice: meglio la salvezza che l’integrità fisica. Sono nominati la mano per indicare l’azione umana, il piede che rende possibile gli spostamenti e l’occhio come strumento di percezione. L’immagine della Geenna è presentata con l’utilizzo del testo di Isaia (66,24), dove si fa riferimento al verme e al fuoco. La Geenna da luogo di culto a Moloc con sacrifici umani è ora discarica di Gerusalemme, ovvero immagine del fallimento totale dell’uomo e del giudizio di Dio. Sanno di scandalo le scalate ai primi posti, i dibattiti sulle precedenze, i titoli onorifici. E sono ugualmente scandalosi i piccoli “capricciosi nella fede” che fede non hanno e battono i piedi per imporre le proprie opinioni come argomenti di fede. Questi piccoli vanno fatti tacere, messi al bando, perché inutili e dannosi alla verità.
 Il Vangelo e noi 
 Che dire oggi di alcuni movimenti ecclesiali che ritengono di essere i primi della classe, i migliori di tutti? Che dire poi di alcuni inqualificabili discepoli che ti fanno sentire come un figlio bastardo, poco amato, eretico, espulso? Dobbiamo riconoscerlo: c’è tanta intolleranza, intransigenza, fanatismo, settarismo. Giosuè e Giovanni hanno ancora tanti seguaci. Non sono pochi infatti quelli che preferiscono coltivare solo gli interessi della propria comunità. C’è una tentazione che non risparmia proprio nessuno ed è quella di volersi impadronire dello Spirito, monopolizzarlo, rinchiuderlo nelle proprie certezze religiose. L’esperienza riportata nei testi sacri risulta attuale anche oggi. Anziché preoccuparci di annunciare nella gratuità il Vangelo di salvezza per tutti gli uomini, preferiamo coltivare gli interessi del nostro gruppo, della comunità, mostrando un eccessivo zelo per la propria identità. La posizione di Gesù è abbastanza chiara: non si può impedire a nessuno di fare del bene nel nome suo. Il bene va sempre riconosciuto indipendentemente dalla fede religiosa di chi lo compie.
 Abbiamo certamente bisogno di profeti, non di ciarlatani. Pensare a un ritorno al passato è vivere fuori dalla storia. Non si torna indietro, ma bisogna costruire un futuro, contribuendo con intelligenza al suo cambiamento. Per noi cristiani è assolutamente necessario aprire la Bibbia, rileggere la storia d’Israele per vedere come Dio è intervenuto in momenti difficili, chiamando alcuni uomini e  alcune donne per guidare il popolo e realizzare un mondo più umano, più fraterno. In questo processo di rinnovamento, un ruolo significativo spetta ai profeti, portatori di una parola di speranza, che denunciano i tanti idoli di ingiustizia, di violenza. Il profeta sa di avere ricevuto una missione e la sua forza si base sulla fedeltà alla Parola che egli è chiamato a proclamare. Egli non dice: “Ascoltate il messaggio di tal dei tali”, ma più semplicemente: “Ascoltate la parola del Signore!”. L’ascolto diventa così il primo momento di un rinnovamento della nostra vita. Non mancano certamente le difficoltà per il profeta, che a volte è tentato di rinunciare al suo compito: “Mi dicevo: non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome. Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo” (Ger 20,9). Il profeta sa che non può limitarsi all’ascolto, ma deve mangiare la parola: “Figlio dell’uomo, nutri il tuo ventre e riempi le tue viscere con questo rotolo che ti porgo. Io lo mangiai e fu per la mia bocca dolce come il miele” (cfr Ez 3,1-3). Siamo molto distanti da quella opinione che individua nel profeta uno che predice il futuro. I profeti non sono quelli che conoscono già il futuro, ma sono quelli che ci aiutano a costruire il futuro con gli occhi di Dio, ci aiutano a capire meglio gli avvenimenti quotidiani. Il profeta partecipa alla vita e ai drammi del suo popolo, lotta e denuncia i bisogni della sua gente. E qualche volta conosce anche la paura e la fuga (cfr le vicende di Elia). Ma Dio non abbandona il suo profeta e lo solleva da quello scoraggiamento e dalla stanchezza. E’ profeta chi ascolta la Parola di Dio, la comunica ad una umanità che vive disorientata nel buio della paura. Purtroppo sempre più frequentemente incontriamo falsi profeti, visionari che propongono stili di vita che non sono conformi alla Parola di Dio. E’ necessaria assolutamente una svolta, ripensarsi nella prospettiva di Dio, uscire dalla paralisi, dalla paura. Abbiamo bisogno di incontrare Dio, che possiamo avvertire come il ruggito di un leone (cfr l’esperienza di Amos) o come il “sussurro di una brezza leggera” (cfr l’esperienza di Elia in 1Re 19,12). Abbiamo bisogno davvero di profeti autentici!
  L’elemento più importante non è il distintivo di appartenenza, ma un comportamento corretto. Quante volte abbiamo giudicato e condannato gli altri non in base al loro comportamento, ma semplicemente perché non appartenevano al nostro gruppo, alla nostra comunità. “Quello non è dei nostri”, sentiamo ripetere. Uno può anche non essere battezzato, non appartenere alla nostra comunità ecclesiale. Ma questo ci autorizza a pensarlo lontano dal vangelo predicato da Gesù? Il criterio insegnato da lui va in un’altra direzione. Piuttosto che non permettere di farli parlare, dovremmo imparare ad ascoltarli.

 

 Preghiera
O Dio, sei davvero misterioso!
Appari distante, quasi nascosto,
ma disposto ad incontrarti
anche con coloro che non ti cercano.
Tu non vuoi la nostra sofferenza.
Ci offri abbondantemente quanto ci occorre,
ma noi non abbiamo imparato ancora
l’esperienza gioiosa della condivisione.
Tu continui a proclamare la salvezza offerta a tutti,
per renderci uomini liberi.
Davanti alle tue larghe vedute,
appare stridente il nostro atteggiamento meschino, settario, falso.
Piuttosto che annunciare il vangelo
preferiamo coltivare gli interessi della nostra comunità,
trascurando altre realtà ecclesiali.
Il tuo messaggio è abbastanza chiaro:
chi serve i poveri, chi si pone a servizio della verità e della giustizia,
vive nella logica del vangelo, respira il soffio dello Spirito,
anche se non è battezzato.
Don Gino Faragone
Leave A Reply

Your email address will not be published.

This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish. Accept Read More