Sul diario di Damiano Zambito: “Quando non c’era Papa Francesco”

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Sul diario di Damiano Zambito:

Quando non c’era Papa Francesco”–Storia di un’esperienza religiosa in terra di Sicilia  (Graus Editore)

(Agrigento Oggi ‒ 11 novembre 2014)

 

Dopo un giorno d’interruzione, riprendo la lettura del “diario” del collega e amico Damiano Zambito, con cui ho fatto assieme, per un decennio, un tratto di strada nell’esercizio del ministero presbiterale, in una cordiale consonanza d’idee, progetti pastorali e difficoltà. E ciò, nonostante la notevole diversità dei metodi formativi vissuti negli ultimi, fondamentali quattro anni di preparazione, cioè gli anni degli studi teologici, lui nella facoltà teologica dei Gesuiti di Posillipo a Napoli ed io nel Corso Teologico del Seminario ad Agrigento, prima della consacrazione sacerdotale.

Successivamente  i nostri  percorsi operativi si sono gradualmente  divisi e anche strutturalmente diversificati, dopo la “sua” richiesta di riduzione allo stato laicale. Anche se entrambi per un trentennio, come docenti di discipline diverse abbiamo lavorato nel campo della scuola.

Nel piacere di leggere le bozze di questo suo diario, arrivando d’un fiato, alla ripresa, sino alla fine, mi pare di aver trovato conferma di quanto sempre avevo pensato, circa la comune tensione, per una fede incarnata nella storia, con un percorso di liberante umanizzazione, per costruire una società di fratelli, segno concreto dell’amore di Dio.

Riprendendo la lettura del “diario” al terzo capitolo, ho sotto gli occhi il  titolo di un articolo, a caratteri cubitali, su uno dei quotidiani siciliani più diffusi. Un titolo che dice “Chiesa rossa o bianca?”.  Soddisfo subito la mia curiosità, venendo a conoscenza  di una lite in tribunale che ormai dura da oltre due decenni tra Curia e Soprintendenza,  in una diocesi confinante con la nostra, per la tinteggiatura della facciata  di una Chiesa di notevole valore storico-artistico.

E intanto ho ancora fresca nella mente la cronaca sul recente incontro dei Movimenti Popolari (per l’Italia era presente lo storico centro sociale milanese “Leoncavallo”) con Papa Francesco, che ha colto ancora una volta l’occasione per respingere l’accusa di essere comunista e anzi di dire che l’amore per i poveri è proprio del Vangelo e che le idee sui poveri i marxisti proprio al Vangelo le hanno “rubate”.

E mentre continuo la lettura del “diario”, trovo come una metafora interessante, quella del colore bianco o rosso; il primo colore richiesto dalla Curia, mentre il secondo è quello effettivamente realizzato dalla Soprintendenza, sorda agli inviti curiali.

Alla metafora che continua a occupare la mia mente sembrano dare risposta le parole di Papa Francesco, alla cui personalità carismatica il “diario” fa esplicito riferimento nel titolo, che l’autore ha  scelto.

Sì, credo proprio così, perché la Chiesa e la società siciliana, e quella ecclesiale agrigentina in particolare, all’indomani della conclusione del Concilio Vaticano II e soprattutto negli anni successivi al  famoso ‘68 , con intensità crescente  nella prima metà degli anni ‘70, sono attraversate da un travaglio socio-culturale, spirituale e politico, senza precedenti.  E tutto, mentre sullo sfondo continuava a far paura lo spettro del Comunismo, con tutto quello che questo significava ancora sul piano interno e internazionale.

La situazione socio-politica, con le comprensibili ripercussioni sul piano religioso, cambierà decisamente nel 1989, con la caduta (o abbattimento, come altri preferiscono dire) del Muro di Berlino, simbolo di un fallimento antropologico prima che politico, ben spiegato da Giovanni Paolo II nella Centesimus Annus del 1991.

Alla luce di quanto sopra, il “diario” di Damiano Zambito si rivela un documento straordinariamente interessante, perché testimonianza di un protagonista che quel travaglio ha vissuto e sofferto, offrendo adesso, in una situazione socio-politico-religiosa completamente diversa, importanti spunti di riflessione, alla Chiesa anzitutto, e alla società civile.

Perché, alla Comunità ecclesiale agrigentina del tempo, nel suo complesso, si deve sicuramente addebitare una carente propensione verso la profezia, per un’accentuata formazione centrata sui principi dottrinali, con conseguente impreparazione e quindi lentezza nel capire il cambiamento culturale innescato dal Concilio Vaticano II, che si era concluso nel dicembre 1965. Anche se è sempre da mettere in conto una certa difficoltà, quasi fisiologica e strutturale per l’istituzione, a stare dietro a posizioni profetiche, con conseguenti sofferenze per tutti.

Così è sempre, in genere, avvenuto, anche se non dovrebbe avvenire. Anche con don Milani, prima condannato, e adesso in fase di graduale celere rivalutazione, …scelto negli anni ‘70 come modello di comportamento pastorale proprio da Zambito.

Alla società civile è risultato via via  sempre più chiaro che  tanti sogni di rinnovamento sociale a vantaggio delle classi più deboli si sono gradualmente trasformati, specie per i riformatori  cosiddetti “duri e puri”, cioè i più radicali e coerenti, in cocenti delusioni, via via crescenti negli anni, sino all’attuale rosso assai sbiadito di marca renziana, attualmente al potere con oltre il 40% del consenso degli italiani; ma  un rosso sicuramente assai diverso da quello degli anni ‘70.

Per tutto questo un raffronto con l’oggi delle vicende narrate da Damiano, con pungente e accattivante vivacità di stile (in cui, tra l’altro, non si trascura mai di mettere  abilmente in risalto le umane fragilità dei responsabili), offre nell’insieme uno spaccato di travaglio umano e culturale di quel periodo. Un periodo davvero interessante, ricco di fermenti sociali e per la Chiesa anche di profezia, la cui difficoltà d’interpretazione ha provocato sofferenze e lacerazioni che, con maggiore apertura allo Spirito, potevano essere evitate.

Sul piano del rapporto fede-politica, la caduta (o abbattimento) del Muro ha eliminato la necessità del Partito unico dei cattolici, la cui unità si è spostata solo sui valori o meglio – come si preferisce dire oggi ‒ principi, non negoziabili. Ciò ha anche portato davvero alla fine di ogni collateralismo, quando invece negli anni ‘70 alla demonizzazione del collateralismo con la DC, a giudizio di molti, non sembrava corrispondere un uguale atteggiamento di rigore verso i Partiti della Sinistra, soprattutto il PCI, immaginati come gli unici difensori dei poveri, la cui scelta preferenziale è per un cristiano un valore evangelico imprescindibile.

Considerando l’attuale scenario, in rapporto  al travaglio precedente, così come efficacemente descritto da Zambito, non mettendo in forse la buona fede di nessuno, si tocca con mano come procedono le vicende umane, anche ecclesiali, in cui ognuno, per la sua parte e secondo i dettami della sua coscienza, con i condizionamenti del particolare momento, a suo modo, ha il dovere di assolvere al suo ruolo, con tutto il carico dei suoi limiti e delle sue fragilità.

Nella sua qualità di assistente diocesano della Gioventù di Azione Cattolica, dei tanti problemi concreti da Zambito affrontati con forte determinazione, consapevolezza e sofferti con grande dignità, …alcuni dei quali hanno allora  non poco influito negativamente sulla sua vicenda personale, …oggi appaiono di fatto superati.

Commoventi, condivisibili e meritate le numerose testimonianze riportate alla fine, con tutto il carico di passione, idealità, convinzioni ed emozioni tra i giovani, che quel particolare periodo e la carica dirompente della forte, ricca e matura personalità di Damiano aveva saputo suscitare; un periodo che anch’io ricordo con nostalgia e rammarico, positivamente tanto diverso da quello attuale, segnato  dal discredito della politica, e purtroppo da tanta apatia e non poca  indifferenza.

 

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