Inizia il mese di maggio con la festa di S. Giuseppe lavoratore sposo di Maria Ss

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Sulla festa del lavoro e sul mese di maggio. – Mese che inizia domani, dedicato dalla tradizione cattolica alla Madonna, l’umile fanciulla di Nazareth di nome Maria.

Mese che inizia con la festa dello sposo di  questa  fanciulla Maria, cioè di Giuseppe, il santo festeggiato come lavoratore perché artigiano, falegname; che, proveniente  dalla Giudea, – e precisamente dalla piccola città di Bethelem dove era nato e viveva –  per motivi di lavoro si era recato in  Galilea, precisamente  a Nazareth,  una sperduta e trascurata città, dove aveva incontrato la fanciulla del suo amore: Maria.

E  il primo maggio  festeggiando S. Giuseppe lavoratore,  in suo onore, c’è anche  la festa della dignità del lavoro, o meglio festa del lavoro, dato che storicamente come festa civile del lavoro – (dobbiamo dirlo) – è iniziata tanti anni prima della festa religiosa. Infatti, si badi bene che in Italia come festa civile era  iniziata nel 1890. Poi, durante il ventennio fascista (1922-1945), a partire dal 1924, la celebrazione della festa del lavoro, anziché al 1° maggio fu anticipata al 21 aprile, in coincidenza con il Natale di Roma, divenendo per la prima volta  – dobbiamo precisarlo – giorno civile-festivo con la denominazione “Natale di Roma – Festa del lavoro”….E così durante tutto il ventennio mussoliniano.

Questa festa civile, fu poi riportata al primo maggio dopo la fine del conflitto mondiale e la  vittoriosa lotta dei partigiani nel 1945, mantenendo sempre   lo status di giorno festivo.

Dieci anni dopo,  Papa Pio XII nel 1955  decise di ricordare S. Giuseppe come lavoratore, patrono di artigiani e operai, proprio il 1° maggio, nel giorno della festa dei lavoratori. Perché nel Vangelo Gesù è chiamato “il figlio del carpentiere”.

E ricordare S. Giuseppe, in questo giorno, significa per la Chiesa   riconoscere   la  grande dignità del lavoro in qualsiasi settore si svolga.

Lavoro come  dovere dell’uomo,  prolungamento dell’opera divina  del Creatore

Per questo Papa Francesco spesso nei suoi interventi, invita a pregare per i lavoratori e  parla del problema lavoro, quello che c’è e quello che manca. Più  di una volta ha detto : “A nessuno manchi il lavoro, tutti abbiano la giusta retribuzione”.    Ha denunciato che  la dignità del lavoro -troppo spesso – è calpestata,….a ancora  oggi ci sono tanti schiavi”, “Preghiamo per coloro che lottano per avere giustizia nel lavoro” e “preghiamo anche per gli imprenditori buoni, per gli imprenditori onesti che portano avanti il lavoro con giustizia” ………  e negli ultimi tempi data la situazione in Italia….dove gli incidenti sul posto di lavoro si ripetono con preoccupante frequenza….il Papa non ha mancato di fare sentire…ripetutamente…. la sua voce

Ma oltre a quella del Papa,  altre voci ci  sono state, non solo da parte degli addetti ai lavori,—per esempio i sindacati, che quasi sono costretti, … e sicuramente lo faranno anche  in questo primo maggio,… ma anche da parte di tante persone che frequentano la Chiesa, che andando magari a Messa per onorare e venerare S. Giuseppe Lavoratore,  sicuramente pregheranno  per i lavoratori ….  pregheranno  anche perché una sana e corretta politica  non solo perché sappia far crescere l’occupazione e diminuire i disoccupati …ma anche e soprattutto per assicurare un lavoro sicuro…senza il pericolo di morire sul posto di lavoro…per mancanza di tutte quelle attenzioni, quegli accorgimenti, ….quell’osservanza delle norme già di legge….finalizzata alla sicurezza sul posto di lavoro….perché la vita è la cosa più  importante……la tutela della vita è e deve essere al primo posto…prima di ogni cosa….e la vergogna di questi continui incidenti  mortali sul posto di lavoro… deve finire….deve finire.

Da tempo si parla di questa  drammatica    situazione …. Da tempo si parla della necessità di una cultura nuova, una cultura nuova in  fermento    per  seguire anche  a Favara e  ad Agrigento i cambiamenti culturali legati ai cambiamenti strutturali del mondo del lavoro,…. Cambiamenti legati al processo di globalizzazione e a quella   che è  comunemente  chiamata   “quarta rivoluzione industriale”  legata alla digitalizzazione ed a tutto quello che la digitalizzazione  significa …e si vuole indicare con questo termine …..

Si parlava del ruolo determinante e propulsivo delle autonomie locali, in pratica delle Regioni, (…una volta anche delle Province)….. e dei Comuni ….che dovevano e devono valorizzare di più   il potenziale umano di intelligenze giovanili, la cui emigrazione in massa al Nord, – si diceva – sarebbe stata il più grave danno al Meridione. Un Meridione che si poteva ritrovare  senza più energie, solo con anziani e bambini,  destinato   ad un futuro di povertà e di miseria.

Cosa che però è regolarmente avvenuta e continua ad avvenire…. E su cui è necessario finalmente intervenire, non più a parole, ma con provvedimenti concreti. Basta con comportamenti politici ambigui o  pericolosamente  furbeschi.

Tante parole dette e scritte nel recente passato regolarmente trascurate, che,   a leggerle adesso, spesso risultano di grande attualità o addirittura profetiche.

Adesso, al di là di ogni inutile recriminazione, è   il  momento  per tutti di fare di più, … di più per il lavoro,…  di più per la tutela della vita, … di più per impedire che avvengano incidenti mortali sul posto di lavoro… di più  per la dignità del lavoratore, … di più per creare a livello locale  occupazione, evitando di sfruttare le leggi solo per i propri parenti, consanguinei,  amici  e clienti.

Con  impegno,   coscienza, competenza e determinazione disinteressata, unicamente finalizzata al bene comune, bisogna fare di più  da parte di tutti, ciascuno nel proprio ambito e ruolo di responsabilità; di più per creare occupazione e dare serenità a tante famiglie ed a tanti giovani.

I  Sindacati  devono riprendere il loro ruolo combattivo, per affiancare e magari pungolare l’impegno delle Autorità locali, che poi, democraticamente, …devono chiedere il consenso dei cittadini.

Per questo è necessario evitare lo scollamento in atto tra politica e vita concreta; scollamento che può costituire la disgrazia più grave di questo periodo.

Diego Acquisto

30 aprile 2024

Da “La REPUBBLICA” –1° maggio: più diritti, più lavoro

di Maurizio Molinari

C’è il lavoro all’origine delle diseguaglianze che generano disagio, proteste e populismo ma le maggiori forze politiche europee sono in evidente affanno nell’affrontare tale sfida.

E’ un ritardo che nasce da una difficoltà oggettiva: l’evoluzione tecnologica cambia il mondo dei mestieri e delle professioni, richiede di riqualificare chi è nel bel mezzo della propria attività lavorativa e obbliga a ripensare il sistema dell’istruzione per modificare in maniera radicale la preparazione, al fine di poter competere su scala globale, anche con i robot

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(s)Punti di vista
1° maggio 2024

Il lavoro è partecipazione

da L’OSSERVATORE  ROMANO–30 aprile 2024

Il cielo all’orizzonte non è così cupo per il mondo del lavoro in Italia. Ci sono dati che fanno ben sperare: il tasso di occupazione ha raggiunto il 61,9% con una occupazione in crescita negli ultimi mesi. Calano i Neet e gli inattivi. La buona notizia è che in un anno il numero di occupati è salito dell’1,5%, pari a 351mila posti in più. Preoccupa il fatto che rimaniamo ancora del 13% sotto la media europea. Fa soprattutto pensare che le donne e i giovani permangano categorie la cui percentuale occupazionale ristagna. Il mercato del lavoro italiano è il più polarizzato dell’Unione europea: le disuguaglianze persistono. Cresce il precariato nella forma del part—time involontario. Il lavoro povero non è causato solo dalla bassa retribuzione, ma dal numero di persone costrette a orari ridotti con stipendi mensili sotto le mille euro. Se il salario non sta al passo con l’inflazione, diminuisce il potere d’acquisto delle famiglie e ci si ritrova drammaticamente sotto la soglia di povertà. Il punto strategico per uscire dalle sabbie mobili in cui è finito il lavoro è dare respiro alla formazione. Le trasformazioni che ci attendono in questo tempo di transizione ecologica, digitale e demografica possono essere affrontate solo con un investimento massiccio nei processi formativi (lauree, master, formazione professionalizzante…). Basta un dato per riflettere: i cosiddetti Gig—Worker, ossia i lavoratori che interagiscono con una piattaforma digitale, sono oggi in Europa circa 28 milioni di persone, ma dovrebbero raggiungere i 43 milioni nel 2025. Il domani è già qui! Prepararsi è l’imperativo categorico.

Potremmo dire che il lavoro soffre le doglie del parto. Siamo incamminati verso un mondo diverso, ma si affacciano molte paure e ingiustizie. Gli incidenti non accennano a diminuire. La recente strage di Suviana nel bolognese rafforza ancora di più la convinzione che il lavoro è una delle dimensioni fondamentali della vita. Soffriamo in mancanza di occupazione e pure quando il lavoro opprime. Ci mostriamo disumani nello sfruttamento lavorativo e ci indigniamo se muoiono persone durante la loro attività professionale. Scandalizza ancora di più se, intorno a temi così importanti, persino i sindacati si dividono. Il lavoro è davvero partecipazione alla vita sociale sotto tutti i punti di vista, compreso quando la mancata sicurezza e la meschina logica dei subappalti generano deresponsabilizzazione. Allora la tragedia bussa alle porte dei lavoratori che finiscono vittime di ingiustizie annunciate e protratte nel tempo. Quanti morti in più devono capitare per risvegliare l’unità sindacale sulla sicurezza? Così il cardinale Matteo Zuppi ha dichiarato intervenendo alla manifestazione di Bologna: «Muoiono tre persone al giorno, bisogna fare di più. La logica del solo profitto porta al ribasso e spesso le voci sacrificate sono i lavoratori».

Il 1° maggio 2024 ha un sapore speciale. Trova ulteriore motivo di preghiera e riflessione il fatto che cade a due mesi dall’inizio della 50a Settimana sociale dei cattolici in Italia (Trieste, 3—7 luglio). La Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro mette in luce nel suo messaggio che il lavoro umano è continuazione dell’attività del Padre che, come ricorda Gesù, «opera sempre» (Gv 5,17). Il lavoro non si può ridurre a “fare qualcosa” per sopravvivere, ma è sempre un agire con gli altri e per gli altri. L’art. 1 della Costituzione italiana mette in stretta relazione il lavoro con il disegno repubblicano. Ne è a fondamento. La democrazia senza lavoro si atrofizza e diventa la casa solo per qualcuno. L’idea geniale dei padri costituenti rimane insieme indicazione e provocazione. Il lavoro va preso sul serio e la cura della sua sicurezza non può essere opzione facoltativa. I vescovi suggeriscono alle istituzioni di «assicurare condizioni di lavoro dignitoso per tutti, affinché sia riconosciuta la dignità di ogni persona». Temi come il giusto salario, l’accesso alla sanità e alla previdenza, la tutela dell’orario lavorativo attraverso lo smart working (dove possibile), l’attenzione alle esigenze familiari sono fondamentali per togliere forza alla tentazione di «dimettersi» dal lavoro. Il fenomeno delle dimissioni, infatti, ha conosciuto una crescita esponenziale nel post Covid e merita di essere attenzionato. Qualcuno l’ha derubricato come «non voglia di lavorare». In profondità, invece, c’è il rifiuto di un lavoro disumano che pretende di essere totalizzante o che disattende i sogni di futuro. Quanto è vero che la persona si identifica con il suo mestiere, lo è altrettanto che il lavoro non può essere tutto. La vita è anche molto di più. Per uscire da situazioni problematiche occorre ripartire proprio dall’importanza della partecipazione. I lavoratori vanno resi corresponsabili del buon andamento dell’attività produttiva e della crescita del Paese. Non possiamo pensarli come automi o gente ricattabile da parte di chi detiene le leve della finanza, dell’economia o della politica. Quando i lavoratori vengono usati come semplice manodopera fino a considerarli «carne da macello», il degrado è dietro l’angolo. L’espressione non appaia troppo dura, se una filosofa del calibro di Simone Weil nel secolo scorso parlava di rischio di «carne da lavoro», a evidenziare lo sradicamento che può portare l’attività professionale senza una dimensione etica e sociale. L’insicurezza non è mai frutto del caso, ma è incuria programmata. La vita umana ha il prezzo del lavoro precario. Quasi nulla!

Nel tempo dell’individualismo e della libertà sciolta dalle responsabilità la sfida è custodire la dimensione comunitaria del lavoro. La stessa Simone Weil rifletteva che «le cose sarebbero diverse se l’operaio sapesse chiaramente, ogni giorno, ogni istante, quale luogo occupi, nella produzione della fabbrica, quel che sta facendo e quale posto occupi nella vita sociale la fabbrica nella quale lavora». Insomma, il legame sociale è determinante per esprimere la qualità del lavoro. Quest’ultimo rimane, infatti, esperienza di comunità a diversi livelli: la produzione risponde a una domanda della società, gli uffici o le fabbriche o gli spazi di coworking sono comunità di vita, le regole a tutela dei lavoratori sono frutto della qualità democratica di un Paese. A ciò si aggiunga che la trasmissione di competenze per imparare un lavoro è segno di maturità sociale e che ogni passaggio di consegne da una generazione all’altra non avviene senza innovazioni. La dimensione comunitaria libera dall’ansia di prestazione e dal disimpegno. Due facce della stessa medaglia.

Anche la democrazia richiede la sua professionalità. Il lavoro è partecipazione.

di BRUNO BIGNAMI

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