Chi era Don Giuseppe Diana…..citato dal Presidente Mattarella nel discorso di fine anno

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Ecco alcune  notizie raccolte…..su Don Giuseppe Diana e sulla sua  scelta di diventare prete

Don Giuseppe Diana nasce a Casal di Principe il 4 luglio del 1958. Il papà, Gennaro e la mamma Iolanda di Tella, vivono lavorando la terra. Giuseppe è il primo di tre figli. Gli altri due sono Emilio e Marisa. Giuseppe entra nel seminario vescovile di Aversa nell’ottobre del 1968, appena compiuto i dieci anni di età,  dove consegue la licenza media e quella classica liceale. La famiglia faceva enormi sacrifici per farlo studiare. Il padre doveva pagare una retta. Ma ai genitori interessava innanzitutto toglierlo dalla strada. Casal di Principe era un paese difficile.  Tornava a casa solo a Pasqua e a Natale.

Conseguì la licenza liceale con ottimi voti. Tanto che vinse anche una borsa di studio. Il Vescovo dell’epoca, Antonio Cece, diceva che Giuseppe non era un prete come gli altri e  che doveva fare carriera, doveva andare a Roma.

Dopo la licenza Liceale il giovane Giuseppe Diana entra nell’Almo Collegio Capranica di Roma per diventare sacerdote. Comincia a frequentare i corsi di Filosofia e Teologia nella Pontificia Facoltà Gregoriana. In un primo momento ci andò contento. Poi cominciò a ricredersi. Al ragazzo, che era  giovane allegro, gioviale, ma anche un po’ esuberante, quel clima austero del collegio e il distacco dal suo mondo, gli stavano un po’ stretti. Così cominciò a tempestare di telefonate la mamma perché non ci voleva più stare in quell’istituto. Alla fine tornò a casa.

S’iscrisse alla facoltà di Ingegneria dell’università Federico II di Napoli. Ma anche questo non gli bastava. Era sempre triste, pensieroso. Questa sua crisi durò all’incirca tre mesi, durante i quali  diede anche un esame ad ingegneria. Più passava il tempo e più si incupiva. Finché un giorno prese sua madre da parte e le confidò:  “Mamma voglio tornare in seminario. Non ce la faccio più a stare fuori”. Andò da solo a parlare col vescovo di Aversa, Monsignor Antonio Cece, che gli consigliò di attendere ancora qualche mese prima di rientrare in seminario. Ma lui rispose che la scelta l’aveva già fatta. Quello stesso pomeriggio se ne andò a Napoli, al seminario di Posillipo. Da allora non ebbe più incertezze sulle sue scelte.

Venne ordinato sacerdote il 14 marzo del 1982. Don Diana, da giovane prete, aveva un rapporto speciale con i ragazzi. Anche perché nel frattempo era diventato uno scout. Era il responsabile diocesano dell’Agesci, gli scout cattolici, ed era anche cappellano dell’Unitalsi. Accompagnava i malati nei viaggi a Lourdes, perché era anche assistente nazionale del settore Foulard Blanc. E poi aveva una passione sfrenata per il calcio. Quasi ogni domenica era presente sugli spalti dello stadio San Paolo di Napoli per seguire squadra del cuore insieme a un folto gruppo di giovani della sua comunità.

Il 19 settembre del 1989 viene nominato parroco della parrocchia di San Nicola a Casal di Principe.

Don Giuseppe Diana fu ucciso dalla camorra a Casal di Principe il 19 marzo del 1994, poco dopo le 7,20 del mattino, nel giorno del suo onomastico. Fu ucciso nella sua chiesa, la parrocchia di San Nicola di Bari. Gli spararono contro quattro colpi di pistola mentre si preparava per celebrare la messa. Aveva 36 anni.

Quella mattina del 19 marzo 1994

E’ il 19 marzo 1994. Sono da poco passate le 7,20. Don Giuseppe Diana, 36 anni, parroco della chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe, arriva prima del solito nella sua parrocchia. E’ anche il giorno del suo onomastico. Dopo la messa delle 7.30 ha dato appuntamento in un bar a diversi amici per un dolce e un caffè. Sulla porta il sagrestano lo saluta. In chiesa ci sono già alcune donne e le suore. C’è anche Augusto di Meo ad aspettarlo, il suo amico fotografo. Vuole essere tra i primi a fargli gli auguri per il suo onomastico. Ma ad aspettare don Peppe c’è anche un’altra persona. E’ sul piazzale della chiesa, in auto. E’ un uomo con meno di 40 anni. con un giubbotto nero e capelli lunghi. Appena vede il prete entrare, scende. Si guarda intorno, mette la pistola nella cintura e si avvia a passo deciso verso la sagrestia.

Don Peppe, intanto, mentre comincia ad indossare i paramenti sacri, sta ancora concordando con il suo amico fotografo il da farsi per vedersi dopo la messa. Ed ecco che entra l’uomo col giubbotto. “Chi è don Peppe?”, chiede lo sconosciuto. Don Diana si gira e risponde: “Sono io”. L’uomo tira fuori la pistola dalla cintola e spara quattro colpi, al volto e al petto. Per don Peppe, che cade in una pozza di sangue, non c’è niente da fare. Muore a 36 anni il prete che aveva osato sfidare apertamente la camorra dei casalesi.  Il killer si dilegua. Ad aspettarlo ci sono dei complici con l’auto del motore acceso. Augusto, il fotografo amico di don Diana invece, corre dai carabinieri a denunciare l’accaduto. Sarà lui a riconoscere in Giuseppe Quadrano il killer di don Diana.

Per l’uccisione di don Giuseppe Diana, il 4 marzo 2004, la Corte di Cassazione ha condannato all’ergastolo Mario Santoro e Francesco Piacenti quali coautori dell’omicidio, mentre ha riconosciuto come autore materiale dell’omicidio il boss Giuseppe Quadrano condannandolo a 14 anni, perché collaboratore di Giustizia.  Decisiva la testimonianza di Augusto Di Meo.

Quanto ai mandanti, la giustizia ha accertato che la morte di don Diana venne ordinata dalla Spagna, dal boss Nunzio De Falco detto “’o Lupo”, con l’intento di colpire il clan Schiavone- Bidognetti.

Ma prima della sentenza definitiva, ci sono stati vari tentativi di infangare la memoria di don Giuseppe Diana. Tentativi che iniziarono sin dalle prime ore dopo la sua morte, quando venne fatta circolare la voce che era stato ucciso per vicende di donne.

A queste voci seguirono vere e proprie campagne denigratorie con articoli apparsi sul “Corriere di Caserta” che avevano l’obiettivo di delegittimare non solo la figura di don Diana, ma soprattutto il suo forte messaggio lanciato dagli altari delle chiese della Foranìa di Casal di Principe, a Natale del 1991, con il documento “Per amore del mio popolo”. Un messaggio dirompente contro la cultura camorristica e criminale, nato nel cuore di quella che lo stesso don Diana definiva la “dittatura armata” della camorra.

Da 19 marzo di ventiquattro anni fa, molte cose sono cambiate. La sua morte è stata come un seme caduto nella buona terra, perché ha dato molti frutti. I colpi inferti dalle forze dell’ordine e dalla magistratura ai clan, sono stati pesanti. Le condanne all’ergastolo per i capi della camorra casalese hanno messo in ginocchio l’organizzazione criminale. Nel frattempo diversi beni sono stati confiscati ai boss e assegnati ad associazioni e cooperative sociali. Ora i criminali sono per lo più in carcere, mentre nel Cimitero di Casal di Principe la tomba di don Giuseppe Diana, è meta di migliaia di visitatori. E’la rivincita dei familiari e degli amici di don Diana che sin dal giorno dopo la sua uccisione ne hanno difeso la memoria tra mille insidie, difficoltà e pericoli.  Il giorno dei funerali di don Diana, Don Antonio Riboldi, vescovo di Acerra, ebbe a dire parole profetiche: “Il 19 marzo è morto un prete ma è nato un popolo”.

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