A margine dell’80mo dello sbarco degli anglo-americani in Sicilia

E’ dovere della memoria, confrontarsi con la storia

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Sollecitato dal prof. Giuseppe Crapanzano (nella foto), direttore di “Penna sottile”,  a dare un mio contributo alla riflessione sull’80mo anniversario dello sbarco anglo-americano in Sicilia, avvenuto proprio in questi giorni del luglio 1943, ho pensato anzitutto ad esaminare, seppur molto sommariamente,   l’attuale panorama socio-politico-ecclesiale e culturale.

E mi capita di leggere giudizi del seguente tenore: “Viviamo in un mondo entropico”, con tutta la complessa problematicità che questo aggettivo comporta, perché…“Il disordine cresce, la frammentazione anche… Tutto si slega, ma non siamo più nella società liquida: la digitalizzazione sta riorganizzando il sociale in maniera sempre più verticistica, attraverso procedure rigide e forme pervasive di influenza e controllo.

Non solo !…leggo anche cheL’immanenza non ci rende più liberi, anzi!  Perdere la dimensione del sacro, della trascendenza del mistero, ci impoverisce inesorabilmente”.

E ancora che “In un mondo sempre più astratto, il cattolico sta – (ed aggiungo io, deve stare) – dalla parte della concretezza della vita umana fatta di gioie e dolori, successi e fallimenti, vittorie e sconfitte, di forza e debolezza, centralità e marginalità, vita e morte”   (Guardini).

Premesso quanto sopra,  ecco il perché del titolo, che cioè E’ dovere della memoria, confrontarsi con la storia”.

E’ fin troppo evidente che la storia di oggi cioè, quella che stiamo vivendo in questi giorni, ha le sue radici in quella di ieri,  magari direttamente e forse esattamente, – se vogliamo essere precisi –  proprio da 80 anni; quando cioè, esattamente in questi giorni, con lo sbarco delle truppe anglo-americane in Sicilia il 10 luglio 1943, la seconda guerra mondiale segnava una svolta importantissima, con l’indebolimento fatale delle forze  del cosiddetto Asse Roma-Berlino, che aveva unito in un “Patto d’acciaio” ,   l’Italia fascista mussoliniana, con la Germania nazista di Hitler.

Lo sbarco in Sicilia segnava l’inizio del crollo del mito di potenza nazi-fascista, coltivato da Hitler e condiviso da Mussolini,  sull’ Europa e sul mondo.

Crollava una visione ideologico-militarista di conquista che aveva sostanziato la  politica, ma non solo !  perché anche la stessa sfera religioso-culturale, anche se non  ne aveva direttamente determinato e favorito la nascita, almeno successivamente ne  era stata largamente influenzata, pur con il nobile obiettivo di tutelare i valori della fede, che nell’ Autorità religiosa, in quel clima, trovavano il più sicuro punto di riferimento.

Così in Italia,… – per fare solo qualche esempio…- nel catechismo antimodernistico,  formulato da Papa Pio X, si diceva che la Cresima è il sacramento che ci fa perfetti cristiani e “soldati di Gesù Cristo”.  Non solo ! si spiegava subito che l’unzione che si fa sulla fronte in forma di croce con il sacro crisma “significa che, il cresimato, da forte soldato di Gesù Cristo, dovrà portar alta la fronte senza arrossire della Croce e senza aver paura dei nemici della Fede”.     E che  “il leggero schiaffo che il Vescovo dà al cresimato, significa che questi deve essere disposto a soffrire per la Fede ogni affronto e ogni pena”.

Parole e  formule che  tutti  dovevano  regolarmente imparare,… in cui adesso, specie  con la sensibilità di oggi , nessuno può non cogliere comunque la valenza militaresca, frutto della particolare sensibilità di quel tempo. Che  oggi, diversamente interpretata, in rapporto alla mutata cultura e sensibilità, dovrebbe trasformarsi o comunque indurre ad un certo tipo di impegno concreto,  necessario per interiorizzare la fede, e per divenire ed essere,  cristiani  non solo di nome o di facciata.

E questo del Catechismo è solo un esempio! perché poi l’Inno dell’Azione Cattolica, cantato sempre in tutte le affollate assemblee liturgiche  feriali e festive, sino all’ inizio degli anni ’60 del secolo scorso,  era Qual falange di Cristo Redentore….”;   una falange che nel “Bianco Padre” che era a Roma (cioè il Papa) aveva il suo unico punto di riferimento, perché invocato come “meta…luce  (in assonanza con duce)  e guida nel ritornello, che veniva più volte ripetuto, essendo sempre tutti pronti, subito, eventualmente,  a “formare un esercito all’altar”.

Perché i cristiani sonoarditi della fede, araldi della Croce”, dovevano sempre trovarsi eventualmente pronti ad essere “…un esercito all’altar!”….

Non solo ! In una seguente strofe, che però si cantava raramente,  si diceva testualmente : “Balde e salde s’allineano le schiere, che la gran Madre dal suo sen disserra, la più santa Famiglia della Terra, innalza al cielo i cuori e la Bandiera: ed ogni figlio è pronto alla sua guerra, votato al sacrificio ed all’amor”.

Credo che basti (ed anzi ne avanza !).   Basta ! basta  solo questo per capire che il confronto con la catechesi e la spiritualità di oggi non rende. Oggi la situazione è  assai, assai diversa. Perché dopo il Concilio Vaticano II (1962-65),   –  aperto da Giovanni XXIII (Papa Roncalli) e concluso da Paolo VI (papa Montini) la musica è decisamente cambiata. Sembra proprio che siano passati diversi anni-luce ! Musica cambiata non superficialmente ma proprio a 360 gradi.

Un cambiamento impossibile, umanamente inspiegabile se la Chiesa fosse solo un’istituzione umana, voluta solo  dagli  gli uomini. Ma tutto si spiega se si capisce che nel mistero della Chiesa, istituzione umana e divina ad un tempo,  si realizza lo stesso mistero di Cristo, uomo-Dio, il suo fondatore che l’ha voluta, affidandola a Pietro, per il quale pregando,  ha assicurato la sua assistenza, perché, anche attraverso i suoi successori, confermasse nella fede i suoi fratelli.

E  la Cresima che prima si diceva ci fa diventare “soldati di Gesù Cristo…”……….adesso si dice che è uno dei sacramenti dell’iniziazione cristiana, così come il Battesimo e l’Eucarestia.

Nel caso del Battesimo, il fedele entra a far parte della chiesa, del popolo di Dio. Con la Cresima invece, il credente conferma il suo cammino di fede e s’impegna ad essere testimone della Parola di Dio.

E Papa Bergoglio, cioè Papa Francesco,  primo gesuita ad essere eletto papa nel conclave del 2013, ci ha detto che  ha sentito ciò che il suo fondatore sant’Ignazio di Loyola, sentì leggendo la vita di san Francesco. Si  dice infatti che  abbia esclamato: “E se anch’io facessi quel che ha fatto san Francesco?”.

In Papa Bergoglio sembrano evidenti i tre accenti francescani della libertà, che è pure l’aspetto più tipico dei gesuiti, unitamente  alla povertà ed alla compassione, vivendo e martellando continuamente per una Chiesa povera, aperta e  “in uscita” verso i poveri, con palpabile compassione verso i bisognosi, sacramento della presenza di Cristo.  Andando ben oltre quello che in genere caratterizza la letteratura odierna laica,  spesso appiattita su posizioni moralistico-spiritualiste.

Premesso quanto sopra, su cui ci siamo dilungati, adesso dello sbarco degli anglo-americani in Sicilia di 80 anni fa, che ha segnato la rottura,  senza equivoci,  con  tutta la fase storica-politica-ecclesiale, pur riconoscendo la positività della svolta, dobbiamo segnalare un paio di esodi (si dirà magari isolati!)  che davvero non fanno onore alla nuova cultura politica, di cui soprattutto gli alleati americani si sono resi colpevoli a Canicattì.

Uno studioso di storia locale, serio e documentato come il prof. Gaetano Augello, il cui nome è ormai abbastanza noto e giustamente  stimato a raggio nazionale e non solo !…parla di due stragi: titolando,  LE STRAGI DI CANICATTI’.

E scrive: “Negli ultimi anni la ricerca storica ha svelato due immani tragedie svoltesi a Canicattì nei giorni immediatamente successivi all’arrivo degli anglo- americani. Adesso si parla, giustamente, delle stragi di Canicattì: la prima, ad opera dei tedeschi, alle ore 16 circa del 13 luglio 1943; la seconda, ad opera degli alleati, alle ore 18 del 14 luglio 1943.   Nel pomeriggio del 12 luglio i carri armati americani, provenienti da Licata, erano appena entrati in città, alla guida del capitano Perkins. La loro avanzata era stata preceduta e coperta da forti bombardamenti aerei che avevano spinto i militari dell’Asse, presenti da appena due giorni a Canicattì, a ripiegare alla volta di Caltanissetta. I primi reparti tedeschi, appartenenti alla 15° Divisione Panzer Grenatier, erano arrivati a Canicattì nella mattinata dell’undici luglio. Erano giunti su disposizione del generale Alfredo Guzzoni, comandante in capo delle truppe dell’Asse in Sicilia. A essi si erano aggiunti, subito dopo, altri uomini e mezzi del 162° Battaglione di artiglieria. In zona giunse anche il generale di divisione Ottorino Schreiber, comandante della 207° Divisione costiera italiana, che aveva assunto, a seguito della morte in combattimento del luogotenente generale della Milizia, Enrico Francisci, il comando delle forze dell’Asse nell’area.  Al generale Schreiber furono assegnati altri reparti di fanteria, artiglieria ed una compagnia controcarro. Queste truppe, che avevano il compito di fermare l’avanzata degli anglo-americani, dopo una breve sortita, nel pomeriggio dell’undici luglio, su Campobello di Licata, furono costrette a precipitosa ritirata a seguito dell’avanzare dei reparti corazzati americani.

L’indomani pomeriggio, intorno alle 16, i soldati tedeschi, in marcia per uscire dalla città, si imbatterono – davanti al ricovero antiaereo costruito in via Capitano Ippolito alla base della collina del Castello – in un gruppo di cittadini inermi visibilmente esultanti per l’arrivo degli americani e la conseguente fine della guerra. I tedeschi, contrariati e presaghi della loro imminente sconfitta, reagirono da nazisti aprendo il fuoco, senza che fosse stato loro offerto il benché minimo pretesto. Per terra restarono sei morti. Era la prima strage compiuta in Italia dai tedeschi. Questi i nomi dei caduti: Giuseppe Iacolini di 18 anni, Salvatore Lo Sardo di 19, Giuseppe Piccolo di 54, Pietro Frangiamone di 66, Carmelo Di Bella di 39 e Calogero Lauricella di 56. Non è stato finora possibile ricostruire a quale dei numerosi reparti tedeschi presenti, seppur da poche ore, a Canicattì appartenessero gli autori della strage.

La seconda strage, ad opera degli alleati, fu compiuta alle 18 del 14 luglio ed ebbe come teatro la saponeria Narbone-Garilli  ubicata all’inizio del viale Carlo Alberto, sul lato destro, subito dopo il ponte della ferrovia. L’evento, definito da Stanley P. Hirshson “tra i più brutali” della campagna d’armi  di Sicilia, è rimasto nell’oblio per più di sessant’anni. Se ne è avuta finalmente notizia grazie ad una relazione, An un reporter d’atrocity at Canicattì, July 1943, tenuta il 15 aprile 1998 dal professore Joseph S. Salemi, docente nel Department of Humanities della New York University e nel Brooklyn College, figlio di Salvatore Joseph Salemi, uno degli americani testimoni della strage.

Salvatore J. Salemi, nei primi di luglio del 1943, era un sottufficiale del Quartier Generale del Military Intelligence Service e prestava servizio con la 3° Divisione dell’esercito americano in Sicilia, comandata dal generale Lucian K. Truscott. Salemi conosceva il dialetto siciliano ed era per questo utilizzato, all’interno del G-2 – il servizio di spionaggio dell’esercito – come interprete e per altre incombenze come la traduzione di documenti.

Nel pomeriggio del 14 luglio Salemi si trovava all’interno del Municipio di Canicattì, ove aveva stabilito il suo ufficio il responsabile locale dell’amministrazione militare anglo-americana, tenente colonnello George Herbert Mc Caffrey, di 53 anni. Intorno alle ore 17 giunse trafelato un civile a chiedere un intervento dei militari alleati per far cessare un saccheggio in corso all’interno  della saponeria Narbone-Garilli  del viale Carlo Alberto.  “Durante la guerra in Europa,  il sapone era un bene molto costoso. Le forze armate di quasi tutti i paesi belligeranti avevano requisito il bestiame per i propri bisogni alimentari o di trasporto, e di conseguenza c’era una grossa penuria di grasso animale per produrre sapone. Il sapone era, quindi, diventato scarso e costoso.

I casi di scabbia verificatisi a Canicattì dimostrano le carenze igieniche e l’impossibilità per molti di acquistarlo”. Il tenente colonnello Caffrey ordinò subito ad un gruppo di militari, guidati da un sottotenente, di recarsi sul posto e arrestare i saccheggiatori. Subito dopo, però, decise di recarsi egli stesso nel viale Carlo Alberto insieme ad un gruppo del servizio G-2.

Quando il colonnello giunse nella saponeria i militari inviati in precedenza  avevano già provveduto all’arresto di un gruppo, dai 30 ai 40, di presunti saccheggiatori e tra essi donne e bambini. Il colonnello, non si comprende il perché, diede  ordine al sottotenente di procedere con i suoi uomini alla fucilazione degli arrestati. Il sottotenente non oppose alcun rifiuto verbale ma non sparò e non diede  ordine ai suoi subordinati di sparare.

Caffrey ripeté lo stesso ordine a tutti i soldati presenti che restarono immobili. A questo punto estrasse dalla fondina la sua Colt automatica calibro 45, un’arma davvero micidiale, e sparò ben tre caricatori sui civili, da tre metri di distanza, facendone scempio.

Fu una strage davvero odiosa perché, contrariamente alle disposizioni del codice militare, furono uccise persone già arrestate e che non avevano affatto assalito e danneggiato le strutture della saponeria. I bombardamenti dei giorni precedenti avevano, infatti, creato dei varchi nelle mura che racchiudevano, in un ampio spiazzale, molte vasche ove era contenuto il sapone molle pronto per la vendita. Era stato facile quindi, anche a donne e bambini, introdursi nel recinto per sottrarre, con scatole e piccoli contenitori, esigue quantità di sapone.

Le vittime accertate della strage furono sei: Antonio Diana di 50 anni, Vincenzo Messina di 40, Vincenzo Corbo di 22, Giuseppe Sanfilippo di 39, Giuseppe Salerno di 31, Alfonso La Morella di 43. Salvatore Salemi ha parlato di un bambino di circa 12 o 13 anni colpito allo stomaco ma, da ulteriori accertamenti, ad essere colpita sarebbe stata una bambina di 11 anni, Vincenza Todaro, ricoverata all’Ospedale di Canicattì il 14 luglio e deceduta il 20 successivo.

Il tenente colonnello Mc Caffrey fu in seguito nominato, dal comandante della 3° Divisione Truscott, SCAO (Senior Civil Affaire Officer), Ufficiale Superiore per gli Affari Civili, in pratica responsabile AMGOT dell’intera provincia di Agrigento. Era a tutti gli effetti un superprefetto; nella provincia di Agrigento un prefetto civile sarebbe stato nominato solo il 1° settembre 1943 nella persona dell’avvocato antifascista Antonino Pancamo. Caffrey, con l’avanzata delle truppe alleate nella penisola, il 26 ottobre 1943 divenne responsabile della Regione Militare Occupazione 2, corrispondente alle regioni Calabria e Basilicata, con quartier generale nella città di Matera. Avrebbe concluso la sua carriera partecipando alla guerra di Corea. Morì a Castle Point (New York) il 25 gennaio 1954; era nato a Boston il 2 giugno 1890.

Dei fatti di Canicattì, in una relazione ufficiale ben conservata negli archivi americani, si parlò come di “disordini” causati da “mancanza di cibo”. Del fatto nessuno avrebbe saputo nulla, a cominciare dal capitano Perkins, tornato a Canicattì il 6 settembre 1989, accolto con tutti gli onori.

Giovanni Bartolone  si pone un’inquietante domanda: “Era Guarino Amella a conoscenza della strage? Fu informato della strage da qualche compaesano? In tal caso, perché accettò di collaborare con il nemico, che aveva ammazzato i suoi compaesani? L’Italia era ancora in guerra contro gli Alleati”.

E qui si conclude il racconto esattissimo e  dettagliato, del prof. Gaetano Augello;  un documento storico questa sua narrazione delle due stragi,  con nomi, cognomi, date e circostanze precise.

Come  solo un uomo di raffinata cultura e grande sensibilità umana, oltre che storica del suo calibro,  poteva fare.

Diego Acquisto

22-7-2013

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