Quaresima 2023: il messaggio dell’Arcivescovo Alessandro Damiano
Fratelli e sorelle, «Pace a voi!».
La Quaresima ci riporta ancora una volta sulle strade dell’esodo. E su queste strade risuonano di nuovo i due imperativi che, a ogni passo, ne ridefiniscono la traiettoria: «Ascolta!» e «Ritorna!».
«Ascolta, Israele!» è il ritornello che scandisce il dialogo, sempre turbolento ma mai interrotto, tra Dio e il suo popolo. È la formula che introduce le tante alleanze, sempre tradite da Israele con la sua infedeltà, ma sempre rinnovate da Dio nella sua misericordia. È il primo dei comandamenti, dal quale tutti gli altri scaturiscono, non come regole per vivere da schiavi, ma come condizioni per diventare pienamente maturi e veramente liberi.
Su questo sfondo biblico, la Chiesa — erede dell’antica alleanza — propone specialmente il tempo quaresimale come tempo di ascolto, perché solo un ritrovato contatto con la Parola ci può disporre a una conversione reale e a una riconciliazione autentica. E così, rimettendoci come discepoli sulle orme del Maestro, possiamo decidere di seguirlo fino alla Croce, dove l’alleanza di sempre si fa «nuova ed eterna».
Quando l’alleanza — ogni volta infranta e ogni volta ristabilita — si compie, avviene il ritorno. Si ricompongono, cioè, quelle relazioni fondamentali, che costituiscono la nostra identità e ci conferiscono una certa stabilità, ma che il peccato volta per volta compromette: quella fondamentale con Dio e, di conseguenza, quella con noi stessi, quella con gli altri, quella con il contesto sociale e quella con la terra.
«Ritorna, Israele!» è pertanto l’altro imperativo che risuona sulle strade dell’esodo e su quelle della Quaresima. «Ritornate a me con tutto il cuore» (Gl 2,12) è l’appello accorato che Dio rivolge a Israele durante una delle tante calamità che l’hanno afflitto nella sua storia; ed è la prima parola che ascoltiamo nella Liturgia del Mercoledì delle Ceneri. «Ritornò in sé» (Lc 15,17) dice Gesù del figlio minore nella parabola del padre misericordioso, quando — ancora prima di imboccare la strada del ritorno — si mette in ascolto del suo cuore che gli ricorda la nostalgia della casa paterna: anche quella è una storia di “esodo”; e anche quella è tipica dell’itinerario quaresimale.
I profeti annunciano la salvezza descrivendo scene di grandi ritorni dai luoghi dell’esilio e della dispersione, al di là di ogni ragionevole previsione e di ogni fiduciosa aspettativa. Basta pensare, per esempio, a Geremia 31, dove Dio ribadisce di aver amato Israele di amore eterno e per questo continua a essergli fedele; dove confessa che il suo cuore si commuove per Efraim e sente per lui profonda tenerezza; dove promette la nuova alleanza, quella scritta sul cuore. Al centro di questo annuncio leggiamo: «C’è una speranza per la tua discendenza […]: i tuoi figli ritorneranno nella loro terra» (Ger 31,17). E subito dopo troviamo la confessione di Efraim, che ci aiuta a cogliere il senso della Quaresima non solo come tempo di ascolto, ma come tempo di ascolto e di ritorno: «Fammi ritornare e io ritornerò, perché tu sei il Signore, mio Dio. Dopo il mio smarrimento, mi sono pentito; quando me lo hai fatto capire, mi sono battuto il petto, mi sono vergognato e ne provo confusione» (Ger 31,18-19).
Se il primo imperativo — «Ascolta, Israele!» — è un comando, il secondo — «Ritorna, Israele!» è una promessa. Dio non comanda qualcosa se non per prometterci qualcosa di più grande. Non si aspetta che osserviamo delle norme per sentirci giusti, altrimenti la nostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei (cf. Mt 5,20) e scadrà nell’ipocrisia. Si aspetta piuttosto che l’obbedienza alla sua voce ci ridimensioni innanzitutto davanti a Lui e poi ci restituisca la giusta dimensione di noi stessi e degli altri, del contesto sociale che insieme formiamo e della terra che insieme abitiamo.
All’inizio della Quaresima, il Vangelo del Mercoledì delle Ceneri (Mt 6,1-6.16-18) ci esorta a praticare la giustizia non per cercare l’ammirazione degli uomini, ma per ottenere la ricompensa del Padre, che consiste proprio in quel ritorno promesso a chi lo ascolta. In questa prospettiva, l’elemosina, la preghiera e il digiuno — che la Chiesa, a partire da questo Vangelo, ci riconsegna per vivere bene il tempo quaresimale — non sono cose da fare per acquisire meriti, ma esercizi da compiere per rientrare in noi stessi e ritrovare il nostro giusto rapporto con Dio e con il prossimo, con la società e con il creato. Sono stili da assumere per dare senso a questi rapporti e per prendercene cura in maniera responsabile. Sono modalità concrete attraverso le quali l’ascolto diventa ritorno e le promesse di Dio, passo dopo passo, si vanno compiendo.
Non limitiamoci, dunque, a qualche elemosina, a qualche preghiera e a qualche digiuno, per acquietare la nostra coscienza e sentirci in pace con noi stessi, perché quella pace sarà soltanto illusoria e, a lungo andare, ci porterà alla deriva. Facciamo in modo, al contrario, che le elemosine, le preghiere e i digiuni — insieme a tutte le altre opere di pietà e di penitenza proprie delle nostre tradizioni locali — scomodino il più possibile le nostre coscienze individuali e la nostra coscienza collettiva e le dispongano a quell’ascolto sincero che prepara quel vero ritorno.
In particolare, vi esorto a valorizzare i “Cantieri di Betania”, che — oltre a costituire la proposta operativa per il secondo anno della fase narrativa del cammino sinodale — sono una bella opportunità di ascolto e di ritorno, nel senso che ho voluto delineare in questo messaggio. Al di là di ogni tecnicismo pastorale, i “cantieri” sono spazi di incontro concreti e circoscritti e, per questo, più facili da costituire e da frequentare, secondo le indicazioni che trovate nelle linee-pastorali di quest’anno.
Invito le comunità locali a trovare modalità creative per realizzarli nei rispettivi contesti, secondo le possibilità e le esigenze dei vari territori. E ricordo che la Pasqua, a cui questa Quaresima ci prepara, è il termine ultimo per inviare al centro diocesi la narrazione di queste esperienze, che poi confluiranno nella sintesi diocesana.
Il metodo della “conversazione spirituale”, proposto dal Santo Padre e rilanciato dalle Chiese italiane per l’animazione dei “cantieri”, è una possibilità che si presta a vari adattamenti, purché si favorisca l’annuncio della Parola, la condivisione delle esperienze di vita e la loro correlazione. Ascoltare Dio ci aiuterà infatti ad ascoltare gli uomini e le donne che ci stanno accanto; ascoltare gli uomini e le donne che ci stanno accanto ci aiuterà ad ascoltare Dio; e l’ascolto congiunto di tutte queste voci — soprattutto di quelle che usano linguaggi “non convenzionali”, come ripetutamente e un po’ provocatoriamente li ho voluti definire — sarà la premessa di tanti ritorni ancora possibili.
Nell’offrirvi le linee-pastorali di quest’anno, vi ho proposto di «ascoltare tutti, anche coloro che non siamo soliti incontrare nei nostri ambienti perché frequentano tanti “mondi” che noi non osiamo esplorare»; e soprattutto di «ascoltare insieme a loro la voce dell’unico “mondo” che insieme formiamo e abitiamo».
All’inizio di questa Quaresima sento il bisogno di rilanciare questo impegno, perché non ci basti tornare al Signore, se il ritorno a Lui non apre la strada a tutti i ritorni di cui siamo responsabili, ma che non siamo più capaci di attendere e, forse, neppure di immaginare.
Comments are closed, but trackbacks and pingbacks are open.