Gli arcivescovi don Franco e don Alessandro scrivono alla Comunità di Canicattì
A margine della Lettera dei due arcivescovi–Una Lettera con un messaggio forte e profondo, di fede e di comunione, indirizzata alla Comunità ecclesiale di Canicattì, per invitare anzitutto a guardare in alto, e puntare decisamente al bene comune, con un cuore veramente cattolico. Una Lettera comunque destinata anche all’intera Comunità diocesana, ricordando come la beatificazione di un figlio di Canicattì, sia un chiaro segno di predilezione e “costituisca per l’intera comunità diocesana un segno inequivocabile della predilezione del Signore”. Una lettera per la quale – non posso fare a meno di dire, perchè mi viene proprio da pensare, che è difficile non ipotizzare che non ci possa essere stato un intervento particolare dall’alto, specialmente per interessamento dei due grandi canicattinesi, il ven. P. Gioacchino La Lomia ed il beato Rosario Angelo Livatino.
Un accostamento che a me pare logico e consequenziale, anche in relazione al fatto che proprio il nuovo beato, per provvidenziale coincidenza è stato iniziato alla fede nel cinquantesimo della morte di P. Gioacchino. Che, da frate cappuccino, questa terra di Canicattì (e non solo!), aveva rievangelizzato con la parola e soprattutto con l’esempio della sua vita, favorendo alla lunga il sorgere di vocazioni cristiane forti ed autentiche, impegnate a sfruttare i loro talenti per vivere autenticamente la loro fede, anche con l’impegno a liberare tutto questo nostro territorio agrigentino da vecchie e nuove povertà, provocate dal malaffare e dai poteri forti di turno.
Un riconoscimento questo che i due arcivescovi, don Franco Montenegro e don Alessandro Damiano, nella lettera a firma congiunta, seppur indirizzata alla Comunità di Ecclesiale di Canicattì vogliono far conoscere a tutti gli altri fedeli dei rimanenti 42 Comuni.
Un esempio quello del canicattinese giudice Livatino, impegnato sul difficilissimo fronte della giustizia umana, su cui i due alti prelati scrivono: “…la cui valenza simbolica del suo singolare profilo di uomo, di cristiano e di santo, …….si inserisce in un orizzonte molto più ampio di quello circoscrivibile alla sua città natale. In lui la professione della fede e l’annuncio del Vangelo si concretizzano in un modello inedito di santità, senza precedenti nella storia della Chiesa. Sarà infatti il primo magistrato laico, impegnato in prima fila nella lotta alla mafia, a essere proclamato Beato e Martire, per di più in un periodo storico dell’Italia, dell’Europa e del mondo particolarmente caratterizzato da profonde crisi dei valori, delle coscienze, delle istituzioni”.
Parole che non hanno bisogno di commento e che umanamente inorgogliscono Canicattì che gli ha dato i natali e dove quotidianamente, negli episodi più spiccioli e banali il piccolo-giovane Rosario ha vissuto e maturato la sua fede, per cui dovunque sarà ricordato come il Santo giudice di Canicattì……San Rosario Livatino di Canicattì.
Proprio per questo a giudizio dei due vescovi va consegnato “alla Chiesa universale e al mondo intero, quale esempio di santità per tutti: una santità che certamente si radica nel proprio contesto originario, ma che…eccede i confini di un luogo circoscritto per assumere dimensioni ben più vaste……”.
Credo che a rifletterci bene, non ci debba essere proprio nulla da obiettare, condividendo anche il richiamo a chi, – lasciandosi prendere da una certa ondata emotiva ai limiti della razionalità – ha proferito espressioni non appropriate, e magari – come scrivono sempre don Franco e don Alessandro davvero “ ha esagerato nel parlare”, e per il quale auspicano che l’interessato “abbia l’umiltà di riconoscerlo, la saggezza di ravvedersi e la disponibilità ad aprirsi a un dialogo costruttivo”.
Ed infine ! a parte tutto ed a margine di tutto, anche su questa decisione di tipologia squisitamente pastorale, nessuno sostiene che si tratta di una decisione infallibile: proprio nessuno! e quindi nel tempo sempre soggetta a ripensamenti e possibili nuove decisioni. Proprio sulle questioni pastorali la Chiesa di Papa Francesco ci sta abituando alla disponibilità ed apertura ai necessari cambiamenti. Modificando magari consuetudini e prassi che tutti o molti pensavano, erroneamente, immodificabili. E ciò, a mio giudizio, sul concetto fondamentale del dinamismo dello stesso deposito della fede, perché (parole del Papa) “…..custodirlo non significa mummificarlo, ma renderlo sempre più conforme alla sua stessa natura e permettere che la verità di fede sia capace di rispondere alle domande di ogni generazione”.
Parole queste del Papa, difficili forse da digerire anche per alcuni della stessa gerarchia. Ma se è così,… ed è proprio così…! se il sano dinamismo vale per la Parola, tanto più vale per gli orientamenti di carattere pastorale. E quanti ne abbiamo sotto gli occhi … di cambiamenti !
Per la nostra questione concreta, c’è intanto da puntare certamente anzitutto alla, Comunione, al bene prezioso della vera Comunione ecclesiale, superando visioni anguste…e pensare a “sfruttare” le possibilità pastorali che la beatificazione del giudice canicattinese può offrire per un forte richiamo nei nostri paesi allo spirito evangelico di giustizia e di solidarietà, contro la logica antievangelica del malaffare e dell’arricchimento illecito a prezzo di omicidi, ruberie e violenza di ogni tipo. Si potrebbe, per esempio, pensare di organizzare subito un pellegrinaggio tra i vari paesi dell’agrigentino con la statua del nuovo Beato. Con un calendario preciso e comunitariamente programmato, magari dando la precedenza ai paesi più afflitti dalla piaga della mafia. Forse a partire comunque da Canicattì, dove anche se la città non è magari proprio al primo posto, ma che sicuramente non è in fondo alla classifica! Un pellegrinaggio accompagnato da adeguata catechesi che potrebbe scuotere tante coscienze, coinvolgendo strutture ecclesiali, ma anche laiche, centri di cultura e di aggregazioni varie.
Canicattì di questo pellegrinaggio si può fare promotrice, abbandonando altri atteggiamenti che sicuramente non sono in consonanza con il sentire profondo della Comunità, che invece condanna decisamente ogni eloquio violento e triviale; commenti volgarmente offensivi di piccole frange che anzitutto squalificano se stesse, nuocciono alla Città e sicuramente non vengono approvate né dal beato Rosario né dal ven. da P. Gioacchino.
Sostanzialmente nobili invece sono apparse le precisazioni del Sindaco Di Ventura e soprattutto del presidente del Consiglio Comunale Tedesco, che ha voluto espressamente precisare che “è bene sottolineare come non vi sia in atto alcuna “guerra” tra la comunità canicattinese e la Curia Arcivescovile”.
Nessuno può misconoscere come la storia ecclesiastica di Canicattì dimostri ampiamente sempre l’amore alla Chiesa agrigentina (ed universale ), per cui tanti suoi figli, sempre, hanno prestato preziosi servizi, come, tanto per fare qualche esempio, il vescovo di santa vita Angelo Ficarra, prima della sua nomina alla diocesi di Patti e magari ultimo nel tempo Mons. Vincenzo Restivo, classe 1913, protagonista della vita e della storia socio-politica-religiosa non solo di Canicattì ! avendo attivamente partecipato con la sua vita, il suo zelo, la sua raffinata cultura e la sua penna a tutti gli avvenimenti più significativi della diocesi e della provincia dal 1945 fino alla sua scomparsa, da ultracentenario nel giugno 2015.
Diego Acquisto
23-01-2021
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In data 21 gennaio 2021, l’Arcivescovo di Agrigento, card. Francesco Montenegro e l’Arcivescovo Coadiutore, mons. Alessandro Damiano, hanno indirizzato, alla Comunità di Ecclesiale di Canicattì, una lettera che di seguito pubblichiamo.
LETTERA ALLA COMUNITÀ ECCLESIALE DI CANICATTÌ
La beatificazione del Servo di Dio Rosario Angelo Livatino costituisce per l’intera comunità diocesana un segno inequivocabile della predilezione del Signore per la nostra terra, che San Giovanni Paolo II — nella sua storica visita — ha definito «madre di menti eccelse e di cuori generosi». La decisione del Santo Padre Francesco di riconoscerne pubblicamente la santità lo inscrive a pieno titolo tra i figli eletti di questa Chiesa, i quali — in una storia tristemente segnata da logiche e interessi estranei al Vangelo — l’hanno edificata nel bene e nella giustizia, diventando «sale della terra» e «luce del mondo» (Mt 5,13.14) secondo lo stile delle beatitudini evangeliche.
Tale privilegio, di natura esclusivamente ecclesiale, espropria colui che ne viene insignito da ogni appartenenza locale per consegnarlo alla Chiesa universale e al mondo intero, quale esempio di santità per tutti: una santità che certamente si radica nel proprio contesto originario, ma che — soprattutto in alcuni casi — eccede i confini di un luogo circoscritto per assumere dimensioni ben più vaste. Questo vale in modo eminente per il Giudice Livatino.
Da un punto di vista strettamente biografico, diversi sono gli elementi che lo collocano in una prospettiva extraterritoriale. La sua scelta di esercitare la professione forense all’interno della pubblica amministrazione lo ha condotto ad assumere diverse cariche istituzionali in ambito provinciale, prima nel Tribunale di Caltanissetta e poi in quello di Agrigento. E in territorio agrigentino ha sigillato la sua testimonianza con il martirio, proprio mentre si recava a svolgere il suo lavoro di magistrato.
Ma è soprattutto per la valenza simbolica del suo singolare profilo di uomo, di cristiano e di santo, che il prossimo Beato si inserisce in un orizzonte molto più ampio di quello circoscrivibile alla sua città natale. In lui la professione della fede e l’annuncio del Vangelo si concretizzano in un modello inedito di santità, senza precedenti nella storia della Chiesa. Sarà infatti il primo magistrato laico, impegnato in prima fila nella lotta alla mafia, a essere proclamato Beato e Martire, per di più in un periodo storico dell’Italia, dell’Europa e del mondo particolarmente caratterizzato da profonde crisi dei valori, delle coscienze, delle istituzioni.
Per queste ragioni, come abbiamo rappresentato al Sindaco e al Presidente del Consiglio Comunale di Canicattì, «la cosiddetta “sepoltura privilegiata” nella Basilica Cattedrale — riconosciuta dalla tradizione ecclesiale come la Chiesa Madre della Diocesi — sarebbe auspicabile e preferibile, visto che la riconosciuta santità del battezzato diventa dono per tutta la Chiesa, sia particolare sia universale. […] Considerato, inoltre, l’interesse riservato al prossimo Beato in ambito nazionale e internazionale, la custodia delle reliquie nella Cattedrale di Agrigento garantirebbe alla sua memoria una maggiore visibilità, non solo logistica, ma anche […] simbolica».
Nel pieno rispetto delle comprensibili aspettative e delle legittime richieste avanzate dalla comunità canicattinese, dobbiamo constatare con profonda amarezza che i toni e lo stile della controversia in merito all’eventuale traslazione delle spoglie mortali del Giudice Livatino in Cattedrale non si addicono né al momento (che dovrebbe essere l’occasione di una gioia condivisa con tutta la Chiesa) né alla circostanza (data la natura tipicamente ecclesiale della questione). Di certo, non fanno onore alla memoria del Servo di Dio né danno una buona testimonianza a chi, da tante parti dell’Italia e del mondo, ha gli occhi puntati su di noi in vista della sua beatificazione.
Quello che doveva essere un confronto sereno e leale per individuare la collocazione più adeguata al prossimo Beato sta degenerando in una pretesa unidirezionale e, in alcune manifestazioni, sta scadendo nell’insulto, nella polemica, se non addirittura in una vera e propria campagna denigratoria contro la Chiesa Agrigentina e contro il suo Pastore.
Ci duole riconoscere che tutto questo denota la mancanza di un profondo senso di appartenenza, che dovrebbe farci considerare tutti parte di un’unica famiglia, capace di condividere — seppure a diverso titolo in base alle rispettive competenze — un “bene” che per nessuna ragione può ritenersi di alcuni, in quanto è di tutti e per tutti.
Ci auguriamo che, in coscienza, chi ha esagerato nel parlare abbia l’umiltà di riconoscerlo, la saggezza di ravvedersi e la disponibilità ad aprirsi a un dialogo costruttivo, perché una pace ricomposta e un’intesa ritrovata ci aiutino a indirizzare i legittimi eredi verso la decisione più idonea, che dovrà tenere in conto i criteri oggettivamente più validi e dovrà infine ricevere il consenso della Congregazione delle Cause dei Santi.
A tutti assicuriamo la nostra paterna benevolenza e su tutti invochiamo — per intercessione dell’eletto Beato Rosario Angelo Livatino — la benedizione e la consolazione del Signore.
Agrigento, 21 gennaio 2021
+Francesco Card. Montenegro
Arcivescovo
+ Alessandro Damiano
Arcivescovo Coadiutore
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Un parere discutibile……Per la questione concreta….. prima …. prima della collocazione della salma del BEATO ROSARIO LIVATINO di CANICATTI , ben meritevole della sepoltura privilegiata perchè figlio prezioso della Chiesa Agrigentina………. prima,……. nella Chiesa Agrigentina, in sintonia con le sue migliori tradizioni….. con l’impegno a ritrovare sempre il coraggio del dialogo, c’è intanto da puntare certamente anzitutto alla Comunione, al bene prezioso della vera Comunione ecclesiale, superando visioni anguste … ….. e molto, – molto più importante – ……. pensare a “sfruttare” le possibilità pastorali che la beatificazione del giudice canicattinese può offrire per un forte richiamo nei nostri paesi allo spirito evangelico di giustizia e di solidarietà, contro la logica antievangelica del malaffare e dell’arricchimento illecito a prezzo di omicidi, ruberie e violenze di ogni tipo. Si potrebbe, per esempio, pensare di organizzare subito un pellegrinaggio tra i vari paesi dell’agrigentino con la statua o forse meglio con la salma del nuovo Beato …….. con un calendario preciso comunitariamente programmato dagli organismi di corresponsabilità ecclesiale canicattinesi e diocesani, dove sono presenti laici e chierici, parroci e non……. preparare un programma preciso magari dando la precedenza in questo turno che dovrebbe impegnare un lungo periodo i paesi (che secondo le statistiche e precisi criteri) risultano più afflitti dalla piaga della mafia. Forse, a partire comunque da Canicattì, dove… anche se la città non è magari per cultura mafiosa proprio al primo posto, … sicuramente non è in fondo alla classifica! ……………Un pellegrinaggio di preghiera e di riflessione sullo scottante tema…. e perciò accompagnato da adeguate catechesi di tipo teologico, civico … e (perché no?) anche legale…………tutto un impegnativo lavoro sinergico di più forze che potrebbe scuotere tante coscienze, coinvolgendo perciò strutture non solo ecclesiali, ma anche laiche, centri di cultura ed aggregazioni di vario genere e natura…..con quella apertura mentale che la pastorale di Papa Francesco sin dall’inizio ha scelto…………e con la capacità anche “in itinere” di apportare, se necessario, gli opportuni aggiustamenti per andare avanti in maniera sinodale nel sogno, che il Francesco di Roma e quello di Agrigento, in perfetta sintonia, in tutti questi anni ci hanno presentato ….nel sogno cioé di una Chiesa non rigidamente gerarchica, né carismatica, ma sinodale, capace di resistere a spinte contrapposte, sia centrifughe che centripete e quindi in grado di raccogliere unicamente quello che lo Spirito suggerisce relativamente al territorio in cui si opera, per dare risposte ai problemi esistenziali con lo sguardo puntato in alto….. Sempre in alto malgrado le immancabili fragilità, da mettere in conto…….. …………….. In Alto da dove sia il Ven. P. Giaocchino che il beato Rosario non mancano e non mancheranno di seguire questo sforzo umano …….
27-1-2021 Diego Acquisto
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