Ripensare la PARROCCHIA come “sinfonia di ministeri”
Ripensarla la parrocchia e, come comunità, costruirla come famiglia in cui ” c’è posto per tutti e tutti possono trovare il loro posto” , in una “sinfonia di ministeri” , rispettando la vocazione di ciascuno.
Possiamo in estrema sintesi così proporre il messaggio della recente istruzione della Congregazione vaticana del Clero, rivolto a tutti gli operatori pastorali, chierici e laici del mondo intero, concretamente impegnati sulla difficile frontiera dell’evangelizzazione col valore della prossimità, incarnato dalla parrocchia e dalle Unità Pastorali.
Ricordiamo che la parola parrocchia deriva dal greco “paroikìa”, nel significato di “abitare vicino”, e quindi la parrocchia è una Casa vicina alle case. Da qui il valore grande della prossimità che poi traduce concretamente la spiritualità fondamentale della fede cristiana che si fonda sul mistero dell’incarnazione.
Per quanto riguarda le Unità Pastorali, come criterio di fondo, bisogna considerare ”il più possibile dell’omogeneità della popolazione e delle sue consuetudini, nonché delle caratteristiche comuni del territorio, per facilitare la relazione di vicinanza tra i parroci e gli altri operatori pastorali” . “Non sono motivi adeguati” per costituire una unità pastorale – si precisa nel testo – “la sola scarsità del clero diocesano, la situazione finanziaria generale della diocesi, o altre condizioni della comunità presumibilmente reversibili a breve scadenza”, come la consistenza numerica, la non autosufficienza economica, la modifica dell’assetto urbanistico del territorio. Infine, molto categorico ed importante: “L’ufficio di parroco non può essere affidato a un gruppo di persone, composto da chierici e laici”. Comunque a parte tutti l’indicazione generale è che ognuno (presbitero, diacono, laico/a che sia, abbia una sua specificità al servizio dell’unica missione evangelizzatrice, valorizzando i doni, i talenti, il carisma di ognuno, badando con somma cura a preservare la Chiesa da possibili derive, come i due estremi entrambi pericolosi e controproducenti, cioé “clericalizzare” i laici o “laicizzare” i chierici; come pure ad evitare la mentalità di considerare i diaconi permanenti me se fossero mezzi preti o addirittura dei preti mancati. Perché il diaconato è una vocazione specifica e preziosa.
Poi a parte queste considerazioni di un certo livello, non mancano altre indicazioni ancora più “terrestri” che la stampa più laica preferisce veicolare, come la possibilità, data la crescente diminuzione dei preti, in accordo con i Vescovi, eccezionalmente la possibilità di amministrare alcuni sacramenti come il battesimo ed il matrimonio, da parte di laici debitamente preparati. Dottrina non nova, dato che sempre è stato insegnato che in caso di estremo bisogno qualsiasi battezzato, uomo o donna che sia, nella fede di Gesù ha il dovere di amministrare il battesimo; poi per quanto riguarda il matrimonio, dato che i ministri del sacramento sono gli stessi sposi, in mancanza di un chierico, prete o diacono, un laico nel caso indifferibile di bisogno, assolve al compito di testimone qualificato della Chiesa. Così come potrà avvenire per i funerali senza Messa, con una liturgia della Parola guidata da un laico/a.
Per il resto nel documento dal significativo titolo “La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa”, non si trascurano altri avvisi ed ammonimenti, come il dovere delle offerte, ognuno secondo le sue possibilità, per “sovvenire alle necessità della Chiesa” come diceva in antico uno dei cinque precetti generali della Chiesa, che si studiavano nel Catechismo. Offerte che , per loro natura sono “un atto libero da parte dell’offerente, lasciato alla sua coscienza e al suo senso di responsabilità ecclesiale”. Ed anche qui il messaggio è chiaro,; cioè niente «tassa da esigere» secondo un preciso tariffario, ma senso di responsabilità e di fattiva partecipazione, eliminando comunque sempre ogni parvenza di “sacro commercio” proprio in Chiesa.
Ricordiamo che Papa Francesco, venendo direttamente dal fronte pastorale, proprio all’inizio del pontificato, con quella tagliente, evangelica semplicità che lo contraddistingue su ogni argomento ha avuto modo di dire: «Penso allo scandalo che possiamo fare alla gente con il nostro atteggiamento, con le nostre abitudini non sacerdotali nel Tempio: lo scandalo del commercio, lo scandalo delle mondanità…Quante volte vediamo che entrando in una chiesa, ancora oggi, c’è la lista dei prezzi per il battesimo, la benedizione, le intenzioni per la messa. E il popolo si scandalizza», aveva detto ad esempio in un’omelia a Santa Marta, nel novembre 2014: “È curioso: il popolo di Dio sa perdonare i suoi preti, quando hanno una debolezza, scivolano su un peccato. Ma ci sono due cose che il popolo di Dio non può perdonare: un prete attaccato ai soldi e un prete che maltratta la gente”.
Diego Acquisto
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