Senza radici non c’è dialogo con l’Islam
Notiziario di Telepace – mercoledì 26.1.2005
«Senza radici non c’è dialogo con l’Islam»
servizio di don Diego Acquisto
“In Occidente viviamo in un contesto culturale dominato dall’idea che per dialogare con chi è diverso da noi _ per esempio i musulmani _ dobbiamo anzitutto appiattire la nostra identità e la nostra appartenenza, altrimenti potremmo urtare la suscettibilità dell’altro”. Niente di più sbagliato. Anzi, i musulmani quando dialogano con noi vogliono sapere con chi stanno parlando». Si esprime così il Vescovo di Tunisi, arabo fin nel midollo, discendente di una tribù nomade del deserto giordano. Eppure cristiano, anzi vescovo in terra d’Islam. Battagliero e umanissimo, – come lo descrivono le cronache di questi giorni – mentre sta compiendo un giro di conferenze in Italia. “«Dialoghiamo perché siamo differenti, – aggiunge il prelato-. Scopo del dialogo è una conoscenza reciproca: più siamo noi stessi, più siamo rispettati dagli altri. Negativo nascondersi. A meno che non si abbia un complesso di inferiorità”. Un discorso franco e senza ambiguità, quello del Vescovo di Tunisi, che vogliamo riproporre ai nostri telespettatori, all’indomani dell’Ottavario per l’Unità dei Cristiani, perché la cultura del dialogo, correttamente intesa e praticata, vale con tutti, anche con i non cristiani, come i fratelli musulmani, con i quali bisogna prendere atto che tra Cristianesimo ed Islam ci sono punti comuni, ma anche dogmi non negoziabili, come il concetto di monoteismo, che per noi cristiani è trinitario. Ai cristiani di Catania, il Vescovo di Tunisi impietosamente ha detto: «Avete perduto il senso di appartenenza alla vostra fede, alla vostra patria, ai vostri costumi e questo provoca disistima in chi, al contrario, ha un forte senso di appartenenza alle proprie radici” . Dialogo a viso aperto, allora, coi musulmani «perché il basso profilo non serve, ed è denigrato dagli stessi islamici» ». Bisogna perciò cambiare cultura, perché in Occidente viviamo in un contesto culturale dominato dall’idea che per dialogare con chi è diverso da noi _ segnatamente con i musulmani _ dobbiamo anzitutto appiattire la nostra identità e la nostra appartenenza, altrimenti potremmo urtare la suscettibilità dell’altro. «Il dialogo, certamente, non si improvvisa, presuppone da parte nostra una conoscenza profonda della nostra identità, della nostra fede, della nostra cultura e suppone, contemporaneamente, una conoscenza dottrinale e storica dell’altra parte». Per quanto riguarda gli immigrati, il Vescovo di Tunisi dice: “Il Governo italiano deve aiutarli nell’integrazione. Da parte loro, però, gli immigrati devono avere voglia di integrarsi: di imparare cultura, lingua, tradizioni del paese che li ospita e accettare le sue regole e le sue leggi. Se non vogliono rispettarle, tornino al proprio paese di provenienza. Non bisogna cedere neanche nelle piccole cose. E’ una stupidaggine, per esempio, dire che una scuola non ammette il presepe per non urtare la sensibilità dei musulmani. Non credo proprio poi, che i musulmani chiederebbero mai di togliere il presepe”.
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