SENSO del LAVORO e RISULTATI di UN’INDAGINE
Notiziario di Telepace – venerdì 14.01.2005
SENSO del LAVORO e RISULTATI di UN’INDAGINE
servizio di don Diego Acquisto
“La dimensione teologica risulta necessaria sia per interpretare che per risolvere gli attuali problemi della convivenza umana”.
Lo dice Giovanni Paolo II nella “Centesimus annus” e ci sembra proprio un avvertimento da tenere presente per capire oggi anche il mondo del lavoro, profondamente modificato dalle moderne conquiste tecnologiche e che conosce perciò straordinari livelli di qualità, ma che, purtroppo, deve registrare pure inedite forme di precarietà e di sfruttamento, all’interno delle società cosiddette opulente. Il libero mercato, processo economico con lati positivi, manifesta pure i suoi limiti a scapito della dignità della persona umana, che, nella visione della dottrina sociale della Chiesa, deve sempre essere messa al primo posto nella gerarchia dei valori, a cui deve sempre essere finalizzato tutto il processo economico.
In questa ottica vanno letti i risultati di una recente indagine dell’Eurispes sui cosiddetti lavoratori atipici, il popolo di collaboratori occasionali, lavoratori a progetto, occasionali e continuativi, interinali o subordinati part-time. Un Rapporto, questo sui lavoratori atipici dell’Eurispes, che verrà presentato a Roma il prossimo 28 gennaio e che nelle conclusioni generali viene anticipato in questi giorni. Il quadro che ne emerge è decisamente sconfortante. Questi lavoratori, – la cui fascia sembra destinata ad allargarsi ulteriormente nel prossimo futuro, in conseguenze delle nuove logiche che si vanno sempre più affermando da alcuni anni a questa parte nel mondo del lavoro – risultano stressati, hanno attacchi di ansia, difficoltà ad intraprendere scelte importanti di vita, come l’acquisto di una casa, il matrimonio o addirittura la nascita di un figlio. Per questo la stragrande maggioranza è single e non ha figli. Per tutti la “flessibilità” del lavoro è una scelta forzata. Non solo. Una parte significativa di loro considera la flessibilità come vulnerabilità economica e sociale, non si sente adeguatamente tutelata, e perciò negativamente condizionata nelle scelte di maternità e di paternità. Ed è soprattutto la componente femminile ad essere in questo senso maggiormente vulnerabile agli effetti negativi della precarietà. Un dato questo che invita ancora di più alla riflessione. Un dato che deve essere valutato con tutto il senso di responsabilità che comporta, per la gravità dei problemi che evidenzia. Perché, nella cultura corrente, che forse ci si era illusi di avere smontato, non avere un lavoro sicuro e stabile, – per intenderci, il famoso “posto fisso” – produce effetti davvero deleteri sulla persona, con frequenti stati di ansia, ipotizzando il proprio futuro nei prossimi anni, mediocre o addirittura pessimo dal punto di vista economico.
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