Sull’udienza privata del Papa ai seminaristi dell’arcidiocesi di Agrigento

In margine agli spunti di riflessione di Papa Francesco per i Seminaristi di Agrigento.  Grande interesse ed attenzione  sta riscuotendo la notizia dell’udienza  particolare  concessa l’altro ieri, sabato 24 novembre u.s., da Papa Francesco ai seminaristi dell’arcidiocesi di Agrigento, nella  Sala del Concistoro.Udienza particolare solo a loro riservata, sicuramente ottenuta grazie all’ottimo rapporto non solo pastorale, ma anche e soprattutto personale, che il nostro arcivescovo-metropolita don Franco Montenegro,  ha  iniziato ad avere con Papa Francesco a Lampedusa nel luglio 2013, nella sua prima visita apostolica  fuori Roma.

Un incontro che ha fatto nascere tra i due un feeling particolare, sulla comune  e particolare sensibilità al moderno  dramma-migranti,  ed ufficialmente sancito con la nomina del nostro don Franco a Cardinale nei primi giorni del gennaio 2015; una  nomina che si è poi concretizzata  nel primo Concistoro tenuto da questo Pontefice il 14 febbraio successivo.

In questa udienza particolare dell’altro ieri, presenti tutti i seminaristi agrigentini ed i loro  Superiori, il Papa – come apprendiamo  dalle  notizie di cronaca –  ha  parlato a  braccio, consegnando però poi  il discorso  scritto che aveva  preparato.

Anche questo un particolare non indifferente,  per  capire il clima di grande familiarità in cui si è svolto l’incontro, senza  tuttavia però  nulla togliere alla consueta  franchezza, con  punte di incisiva, sorprendente e pungente efficacia, a cui ci ha abituati Papa Francesco.

Cioè, un discorso rivolto ai seminaristi agrigentini – e  sicuramente  con l’occasione  a quelli di tutto il mondo, come è doveroso pensare – ma sicuramente anche ai seminaristi di tutte le 18 diocesi siciliane, da Agrigento rappresentate, per il particolare non indifferente  di avere   la sede vescovile, servita dall’unico Vescovo, membro anche del sacro Collegio dei Cardinali.

Del resto, per fare un esempio di battute sorprendenti,  basta citarne solo una !  quella contenuta nella lettera del gennaio 2015 sulla nomina al prossimo conclave  del 14 febbraio successivo dei nuovi cardinali, tra cui il  nostro don Franco, colto assolutamente di sorpresa, mentre si trovava a Ribera.

Una lettera indirizzata singolarmente a tutti, in cui,  raccomandando di “mantenersi in umiltà nel servizio”, ammoniva per la  possibilità che si potesse in loro insinuare “lo spirito di mondanità che stordisce più della grappa a digiuno”.

Ai Seminaristi agrigentini, e sicuramente ai siciliani, Papa Francesco chiaramente, con   insistenza,  sottolinea la necessità di evitare ogni forma comunque camuffata di ipocrisia farisaica,   facendo cadere “ogni maschera, ogni finzione, cercando solo di essere veri davanti a Gesù”.

Una sottolineatura questa che ad un  anziano presbitero, che ha iniziato col celebrare però la Messa, con la  formula “Introibo ad altare Dei; ad Deum qui laetificat iuventutemn meam” (cioè (Mi accosterò all’altare di Dio, a Dio che allieta la mia giovinezza), suscita una qualche sorpresa ed impressione.   Che  assolutamente però – a scanso di equivoci, c’è da chiarire – nulla hanno a che fare  per una qualche forma di nostalgia con l’antico rito, che taluni impenitenti tradizionalisti  incredibilmente  considerano una “mutazione genetica” della forma mentis con cui il celebrante deve vivere la  celebrazione della Messa.

Il Papa italo-argentino oggi invita i seminaristi agrigentini,  siciliani e  non solo !… oltre ad educarsi a  sapere  ascoltare il grido dell’umanità, anche   a far cadere ogni maschera, ogni finzione, cercando solo di essere veri davanti a Gesù; veri ed autentici “nella realtà in cui ognuno è chiamato a vivere”.

Ed il luogo e tempo del Seminario sono per un vero, sereno e serio discernimento della vocazione.

Perché   “tanti problemi che si manifestano nella vita di un prete scrivesono dovuti a una mancanza di discernimento negli anni del seminario. Non tutti e non sempre, ma tanti.

Infine, lamentando che spesso nel passato l’impostazione formativa “è stata individuale, più che collegiale e fraterna”, ha esortato a  non  lasciarsi mai  andare alla tentazione di essere “bravi missionari individuali”,… ma a lavorare sempre  in comunione, per farsi plasmare dallo Spirito.

Diego Acquisto

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